Durante un lungo intervento al podcast BG2, condotto dagli investitori Brad Gerstner e Bill Gurley, Jensen Huang di NVIDIA ha lanciato una critica diretta ai “falchi sulla Cina”. L’intervento va collocato nella lunga polemica di Huang con i controlli volti a limitare le esportazioni dei sistemi NVIDIA nella Repubblica Popolare Cinese.
Secondo Huang, alcuni americani ostentano con orgoglio l’etichetta di falco sulla Cina, come se fosse un “marchio d’onore” ma va invece considerata un “marchio di infamia”, che agisce contro il patriottismo, nientemeno che colpendo il “sogno americano”. Secondo il leader di NVIDIA, il sogno americano si alimenta con la possibilità di competere a livello globale, anche nel mercato cinese, altrimenti la conseguenza sarà la riduzione del “successo economico e dell’influenza geopolitica dell’America”.
Sulla base della sua esperienza trentennale in Cina, il CEO di NVIDIA ha ribadito per l’ennesima volta l’importanza fondamentale di quel mercato, definendolo “enorme, dinamico e altamente innovativo”. Le sue parole hanno portato alcuni analisti ed esperti ad auto-dichiararsi come “falchi cinesi”, esprimendo una forte critica alle sue posizioni. Il tutto è stato poi portato in caciara, come spesso accade, dalle espressioni di Steve Bannon, che nella sua trasmissione “War Room” ha affermato letteralmente che il CEO di NVIDIA non deve più avvicinarsi al Presidente e deve essere al più presto arrestato in quanto agente di influenza del Partito Comunista Cinese.
Come ho già avuto occasione di ricordare, la nuova identità “politica” di Jensen Huang, con un rapporto stretto col Presidente Trump (obiettivo chiaro delle stesse parole di Bannon), si è rafforzata all’inizio del 2025, con l’approvazione della morente amministrazione Biden del piano complessivo per limitare la vendita globale di chip di intelligenza artificiale avanzati, cercando di impedire a Pechino di accedere a tecnologie critiche anche attraverso Paesi terzi, come i data center nel Sud-Est asiatico e in Medio Oriente. Quel piano cercava di intervenire su una questione ben nota agli esperti, e testimoniata dal boom dei data center in Malesia, ma allo stesso tempo mostrava l’approssimazione patetica della fine dell’amministrazione Biden inserendo alcuni Paesi a caso (si pensi alla Polonia o al Portogallo) in una delle regioni in cui Washington, dall’alto della sua sovranità, divideva il mondo dell’accesso dell’intelligenza artificiale. Il piano venne criticato subito non solo da NVIDIA ma anche da un’azienda cruciale per la seconda amministrazione Trump: Oracle. Un segnale eloquente.
Per capire il contesto più ampio, si può riprendere un articolo del Wall Street Journal di novembre 2024 che, pochi giorni dopo la vittoria di Trump, aveva sottolineato come il presidente stesse reclutando una squadra di “falchi cinesi”.
L’articolo ricordava le azioni dure intraprese durante la prima amministrazione Trump, come l’attacco a Huawei e la limitazione dell’accesso alla tecnologia statunitense di altre aziende cinesi. Considerava il ruolo trasversale dei controlli sulle esportazioni, in cui si inserivano gli elogi dell’ex vice consigliere per la sicurezza nazionale di Trump (2019-2021), Matt Pottinger, ai controlli della squadra di Biden. Il Wall Street Journal richiamava il ruolo di Marco Rubio e di Mike Waltz, quest’ultimo uno dei critici più espliciti della Cina al Congresso, che nel 2021 dichiarò: “Siamo in una Guerra Fredda con il Partito Comunista Cinese”.
Come è evidente, i primi mesi dell’amministrazione Trump non hanno confermato queste previsioni. Anzi. I “falchi” sono usciti, come Waltz, o sono rimasti con un ruolo ancora più ampio, come Rubio, ma le “colombe degli affari” con la Cina, come gli azionisti americani di ByteDance o come Jensen Huang e altri leader tecnologici, hanno guadagnato un’influenza molto più significativa rispetto ai calcoli iniziali. Tuttavia, l’accesa retorica tra le varie fazioni, tra un insulto e l’altro, mostra anche che questa battaglia è tutt’altro che conclusa.