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La storia infinita di Nvidia in Cina

Come si muove Nvidia tra Usa e Cina. L'analisi di Alessandro Aresu

Non ci deve sorprendere che le attività di Nvidia in Cina portino a continui colpi di scena. Il rapporto tra l’azienda al centro dell’ecosistema dell’intelligenza artificiale e l’avversario strategico degli Stati Uniti è destinato a continuare a generare dibattiti, sia a Pechino che a Washington.

Da un lato, dobbiamo considerare alcuni aspetti strutturali. Come ho documentato anche nella terza parte del mio libro “Geopolitica dell’intelligenza artificiale”, l’azienda fondata da Jensen Huang ha una storia di lunghissimo corso di presenza nel mercato cinese e di collaborazione con gli attori industriali cinesi. Prima che le questioni politiche e di sicurezza nazionale giungessero al centro della scena, Nvidia rivendicava la sua collaborazione con aziende come Huawei o con startup come Sensetime, e ha sempre dato grande rilievo al rapporto con gli sviluppatori cinesi, per poter utilizzare l’enorme disponibilità di capitale umano della Repubblica Popolare. Questo continua a essere rilevante per il futuro del posizionamento di Nvidia nelle prossime tappe del ciclo dell’intelligenza artificiale. Per fare un solo esempio, l’azienda ha di recente celebrato il traguardo di oltre 2 milioni di sviluppatori che utilizzano le sue capacità sulla robotica (la piattaforma Nvidia Jetson): quanti di essi si trovano in Cina e quanto dell’ecosistema complessivo di sistemi e clienti rivendicato da Nvidia si trova in Cina? Visto l’investimento cinese nella robotica, simbolico e pratico, potrebbero essere numeri significativi.

L’altro aspetto strutturale è la volontà di Pechino di rendersi il più possibile autonoma nelle filiere tecnologiche, compresi i sistemi per l’intelligenza artificiale. Ovviamente, per quanto riguarda i prodotti di Nvidia o di Amd questo può avvenire solo in parte, mentre, come ho più volte sottolineato e come comprendono ormai anche gli attori europei e giapponesi, è in sostanza già avvenuto per quanto riguarda l’elettronica per l’automotive e altri ambiti. In ogni caso, l’obiettivo cinese non è afferrare una discontinuità decisiva attraverso l’intelligenza artificiale, che si chiami Agi, Superintelligenza o come ci pare, ma attrezzarsi al meglio per una maratona di progressivi usi industriali, in cui soppiantare le aziende statunitensi e di altri Paesi in cima alle varie filiere. C’è quindi un equilibrio tra ciò che va comprato, oppure in qualche modo “ottenuto”, oggi, domani, dopodomani, e più in là nel tempo.

Jensen Huang si trova a navigare tra queste tendenze strutturali, mentre deve presentare i suoi risultati al mercato e sostenere il peso di aspettative sempre più elevate. Per questo, poiché guida la sua azienda dal 1993 e ha quindi una vasta esperienza, ha chiaramente capito da alcuni mesi che è necessario sporcarsi le mani con la politica, perché dicendo solo “sono un attore del mercato” non si può primeggiare, nell’era del capitalismo politico. Pertanto, Jensen Huang ha dapprima inventato concetti come “intelligenza artificiale sovrana” per usare le ambizioni dei vari attori politici per diversificare i suoi clienti, ma ha anche detto con disinvoltura prima nel 2024 “Taiwan è un Paese” e poi nel 2025 “sono nato in Cina”, rivolgendosi a un pubblico diverso nelle due sponde dello Stretto. Ha lavorato per un canale di comunicazione tra Trump e la leadership cinese e nel mentre si è fatto nemico una parte dello Stato profondo di Washington, per cui la minaccia cinese è esistenziale, mentre un altro pezzo dello Stato profondo può tecnicamente lavorare per lui. Non dobbiamo infatti dimenticare che ciò che chiamiamo “Stato profondo” è un insieme di persone come Robert O’Brien, ex consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, che hanno le loro società di consulenza che non vedono l’ora di avere legittimamente come cliente l’azienda del mondo a maggiore capitalizzazione. Perciò, essendo una persona metodica, Jensen Huang avrà una lista di tutti gli arnesi dello Stato profondo sul mercato, che possono lavorare per i suoi interessi, ma anche dei think tank amici, dei nemici, e così via, perché adesso i suoi affari si promuovono anche così.

Dentro questa dinamica, la Cina sa benissimo che Trump considera i prodotti di Nvidia non un tassello inscalfibile della sicurezza nazionale statunitense che condurrà Washington alla conquista delle altre galassie e al superamento dell’umanità, bensì una merce di scambio, come TikTok, Panama o la soia, da mettere nella bilancia di un accordo tra Trump e Xi Jinping. E il sistema cinese, negli ultimi dieci anni, ha riprodotto l’armamentario degli Stati Uniti sulla guerra economica, in particolare con l’uso politico dell’antitrust e del controllo sulle esportazioni. Anche nel sistema cinese, potrebbe esserci un dibattito tra chi privilegia il perseguimento dell’autonomia e chi l’accesso ai prodotti superiori da cui “imparare”. In questo contesto fluido, le aziende e le istituzioni cinesi continueranno da un lato a provare a comprare e a ottenere in un modo o nell’altro tutte le varie generazioni di sistemi Nvidia che si possono avere, mentre dall’altro parte gli stessi cinesi continueranno ad alzare il prezzo e a confondere le acque. Nvidia, di conseguenza, deve contrattaccare e continuare il suo impegno in una campagna politica a tutto campo, tanto a Pechino quanto Washington, in una continua nebbia di guerra informativa. Senza dimenticare che Jensen Huang e la sua squadra, per realizzare le nuove generazioni dei prodotti, devono far correre il gigantesco ecosistema dei loro fornitori.

La domanda è: come può essere stabile un sistema del genere? Non può esserlo. In quest’epoca del capitalismo politico possono esserci vantaggi, primati, vincitori provvisori dei vari mercati. Ma non può esserci una vera stabilità.

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