Possiamo prendere sul serio il rapporto tra l’economia e la politica nella seconda amministrazione Trump e inserirlo dentro alcune tendenze più ampie? La risposta più immediata sembra essere: no.
Numerosi autorevoli media, tra cui l’Economist, hanno più volte raffrontato l’approccio di Trump con quello della mafia. Secondo la loro analisi, Trump si comporta come Don Vito Corleone o come altri personaggi altrettanto feroci e meno romantici, con un insieme di ricatti più o meno sensati. Il suo scopo sarebbe solleticare la propria ambizione e arricchirsi, mischiando l’ordine globale con gli affari della propria famiglia. Questa prospettiva è ben nota a vari attori internazionali, e del resto spuntano nuove Trump Tower in Vietnam o altrove.
Allo stesso tempo, queste spinte del rapporto tra denaro e potere degli Stati Uniti si collocano in tendenze più ampie. Anzitutto, dalla sentenza della Corte Suprema del 2010 il fatto che la politica possa essere finanziata in modo illimitato dagli attori del sistema economico (e sempre più tecnologico) è diventato un principio inaggirabile: se il denaro è libertà di espressione, allora chi ha più denaro vorrà comprare sempre più ogni libertà, mentre gli altri attori del sistema politico non potranno essere liberi se saranno poveri, perché non potranno partecipare al gioco. Il sistema degli Stati Uniti tende quindi verso questo controllo sempre più forte da parte di vari attori del sistema economico. Allo stesso tempo, l’altra tendenza – di cui ho parlato a lungo nei miei libri dal 2020 a oggi – è l’allargamento della sicurezza nazionale a sempre più ambiti dell’economia, e in particolare alle filiere tecnologiche, nell’epoca della competizione con la Cina. Ciò avviene con un forte consenso anticinese politico e burocratico e con nuovi compiti e competenze per gli apparati statali, che hanno però difficoltà a esercitare per via delle competenze tecniche richieste.
La seconda amministrazione Trump può essere vista come un gigantesco calderone di queste spinte contraddittorie. Emergono sempre più le aziende tecnologiche che hanno la sicurezza nazionale come tesi di investimento. I tentativi di allargare le competenze degli apparati statali si restringono in superficie, perché perdiamo qualche mese appresso a DOGE, ma nel mentre si ampliano ancora, attraverso iniziative come il fondo sovrano statunitense, che potrebbero o impantanarsi oppure essere riprese da future amministrazioni di sinistra.
L’alfa e l’omega dell’esistenza, nella logica di Trump, è chiaramente l’investimento immobiliare. Anche i provvedimenti e le regolamentazioni di sicurezza nazionale vanno sottoposti allo stesso linguaggio. È sufficiente, per questo, ascoltare con attenzione Trump che parla dell’accordo del 15% dei ricavi dalla Cina di NVIDIA e Amd, ricavi ottenuti per l’esportazione dei loro chip in Cina garantita dal governo statunitense. Il presidente utilizza l’espressione “restrictive covenant”, che nell’ambito immobiliare identifica un accordo sui limiti e le possibilità dell’uso di una certa proprietà. I sistemi delle aziende statunitensi, in questo senso, nella logica di Trump possono avere una clausola contrattuale che ne amplia l’uso a seconda della decisione del governo, che per questo deve ricevere qualcosa in cambio. “Non per me personalmente”, precisa il presidente. Nella sua logica, non è tollerabile che un asset possa cambiare valore per decisione del governo, senza che il governo prenda la sua fetta, come un mediatore immobiliare o mediatore d’affari che si rispetti.
Una volta compresa questa logica (che hanno già capito letteralmente tutte le parti in causa, con l’eventuale eccezione di qualche europeo), ne consegue però che la critica degli apparati della sicurezza nazionale statunitense, ben rappresentati da alcuni veterani della prima amministrazione Trump, è legittima. Il punto è che le “Colonne d’Ercole” della sicurezza nazionale non esistono veramente, perché possono essere, come tutto, oggetto di un negoziato permanente, di una nuova clausola contrattuale. Con quali conseguenze?
Anche per questo, il capitalismo politico-immobiliare di Trump può essere preso sul serio.