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Nelle spire del Dragone: stritolata la jv tra Fca e Gac

Gac-Fca aveva debiti per circa 1,1 miliardi di dollari. Tutte le le aste pubbliche per la cessione degli asset erano andate deserte, anche perché la Cina guarda da tempo ad auto altamente tecnologiche e dotate di nuovi propulsori, mentre impianti e macchinari della jv italo-franco-cinese Stellantis (ai tempi Fca) e Gac erano di fatto rimasti alla passata generazione

Gli anni erano ancora quelli del compianto Sergio Marchionne e del marchio Fiat che partiva baldanzoso alla conquista di territori inesplorati oltreoceano come fatto in precedenza con la clamorosa acquisizione di Chrysler da parte della Casa di Torino. Ma un conto era mettere radici negli Usa, in un tessuto industriale che andava sfilacciandosi, tra industrie intaccate dalla ruggine; un conto era colonizzare un Paese, la Cina, ormai da tempo in rapida e comprovata ascesa, dove le aziende europee (tedesche, soprattutto) erano già presenti da oltre 30 anni e avevano ormai trasmesso tutto il loro know-how per mezzo di jv con realtà locali. Non sorprende insomma se la joint venture tra Fca e Gac non abbia ottenuto i risultati sperati dagli italiani, fallendo sommersa dai debiti.

IL FALLIMENTO DELLA JV TRA FCA E GAC

Il fallimento era già stato dichiarato da Fiat, che nel mentre era divenuta parte di Stellantis, a fine ottobre 2022, per mezzo di uno scarno comunicato ancora reperibile online: “Gli azionisti della Joint Venture GAC-FCA, Guangzhou Automobile Group Co., Ltd. e Stellantis N.V., hanno approvato una delibera che, in un contesto in perdite, consente alla Joint Venture di presentare istanza per essere ammessa alla procedura fallimentare. Stellantis aveva integralmente svalutato la sua partecipazione nella JV GAC-FCA e le altre sue attività correlate nei risultati finanziari del primo semestre 2022. Stellantis continuerà a prestare servizi di qualità ai clienti attuali e futuri del marchio Jeep in Cina.”

L’OBIETTIVO DELLE 300MILA AUTO ANNUE IN DUE HUB

Il tribunale di Changsha, nella provincia dello Hunan, ha così preso visione dei libri contabili e sancito la fine di una corsa durata 15 anni in un territorio divenuto via via sempre più ostile, per Fiat e non solo, considerate le difficoltà in cui versano, nel Paese, i marchi tedeschi, pionieri di quelle rotte. L’investimento era stato di circa 2,3 miliardi di euro e aveva avuto come perno due fabbriche, una a Guangzhou e una Changsha, con l’obiettivo di sfornare 300 mila veicoli a marchio Jeep (qui un comunicato dell’epoca) e Fiat nel tentativo di conquistare il mercato locale.

L’OSTILITA’ CINESE

Come si anticipava, i tempi non erano più adatti a una permanenza occidentale in Cina: il governo aveva già i suoi campioni locali che avevano assunto per osmosi tutto ciò che i costruttori tedeschi potessero trasmettere e aveva dettato una strategia stringente che premiava i costruttori che investissero in nuove tecnologie, con fiumi di denaro pubblico che finanziavano agevolazioni per cittadini, enti e aziende che avessero accettato la scommessa di passare a soluzioni ibride o completamente elettriche. Come se non bastasse, col cambio di Ceo e l’arrivo di Carlos Tavares i rapporti si erano deteriorati e Gac giudicò ostile il tentativo occidentale di portare la propria quota nella jv dal 50 al 75 per cento.

I DEBITI DELLA JV

Il resto è storia confluita nelle carte bollate. Secondo la sentenza del tribunale, Gac-Fca aveva debiti per oltre 8,1 miliardi di yuan (circa 1,1 miliardi di dollari), di cui 4 miliardi non contestati, a fronte di un attivo di appena 1,9 miliardi. Proprio gli immensi investimenti del comparto industriale autoctono degli ultimi anni, sorretti dai finanziamenti pubblici, avevano fatto sì che tutte le cinque le aste pubbliche per la cessione degli asset andassero deserte, anche perché la Cina guardava ormai da tempo ad auto altamente tecnologiche e dotate di nuove propulsioni, mentre impianti e macchinari della jv italo-franco-cinese erano di fatto rimasti alla passata generazione.

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