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Come procede il Nato Innovation Fund (Nif). Fatti e polemiche

Tre anni fa, 22 alleati Nato hanno lanciato il Nato Innovation Fund (Nif), fondo di capitale di rischio dalla dotazione di un miliardo di euro per investire in startup europee che sviluppano tecnologia con possibili applicazioni militari o di difesa. Tutti i dettagli

Ad appena tre anni dal lancio, dubbi e polemiche si annidano sul Nato Innovation Fund (Nif) il primo fondo di capitale di rischio multi-sovrano al mondo.

Al vertice di Madrid della Nato del giugno 2022, 22 alleati avevano lanciato il Nato Innovation Fund, oggi sostenuto da 24 dei 32 stati membri della Nato, tra cui Finlandia e Svezia. Con un budget di 1 miliardo di euro, il Fondo per l’Innovazione della Nato ha l’obiettivo di investire in startup di deep-tech, comprese quelle che sviluppano tecnologie che potrebbero avere applicazioni militari.

Nel luglio 2023 gli alleati hanno selezionato il team di investitori per gestire il nuovo fondo di venture capital. Dopo la nomina di Roberto Cingolani, ad di Leonardo, all’interno del cda del Nif nel marzo 2023, un altro italiano era entrato nel team degli investitori in qualità di socio amministratore. Si tratta di Andrea Traversone, manager con esperienza quasi ventennale presso la britannica Amadeus Capital Partners.

L’imperfetto è d’obbligo visto che lo scorso novembre il socio fondatore Thorsten Claus e il socio amministratore Andrea Traversone hanno entrambi lasciato il fondo poco  dopo un anno dal suo lancio, come riportato da Sifted, testata digitale pubblicata dal Financial Times. E di recente i partner che hanno abbandonato il Nif da due sono diventati tre.

Oltre queste partenze, sulla scommessa di venture capital della Nato pesano anche potenziali conflitti di interesse, il tutto basato su una struttura di governance piuttosto insolita, rileva la testata.

Tutti i dettagli.

IN COSA CONSISTE IL NATO INNOVATION FUND

Il fondo ha lo scopo di riunire i governi, il settore privato e il mondo accademico per rafforzare il vantaggio tecnologico della Nato, secondo quanto sostiene l’Alleanza Atlantica.

Nello specifico, il Fondo per l’innovazione della Nato è un partenariato finanziario tra gli alleati dell’Alleanza Atlantica partecipanti in qualità di soci accomandanti e un braccio di gestione degli investimenti creato appositamente per questo fondo. Con una dotazione di 1 miliardo di euro, il Fondo investirà in start-up in fase iniziale che sviluppano tecnologie emergenti a duplice uso (deep tech). La Nato sta cercando di avere un “vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti strategici”, aveva spiegato a Euractiv un funzionario dell’alleanza due anni fa.

I PAESI MEMBRI SOSTENITORI

Germania, Regno Unito, Italia, Spagna e Turchia sono tra i 24 paesi che contribuiscono al Nato Innovation Fund, mentre Stati Uniti, Canada e Francia non hanno accettato di sostenerlo, sottolineava l’anno scorso il Financial Times.

I contributi dei Paesi -per un totale di 1 miliardo di euro – sono da erogare nell’arco di 15 anni, con orizzonte di investimento di lungo termine.

STRUTTURA INSOLITA PER IL NATO INNOVATION FUND

Per essere un fondo di venture capital, la struttura è insolita.

Come ricostruisce Sifted, il Nif è stato costituito formalmente nel 2023 con una struttura legale complessa e atipica per un programma dell’Alleanza Atlantica. Si compone di un fondo di investimento con sede in Lussemburgo, di una società di gestione nei Paesi Bassi e di una fondazione di diritto olandese incaricata della supervisione.

Questa organizzazione tripartita, supervisionata dal presidente Klaus Hommels (investitore tech tedesco), da Fiona Murray (vice-presidente, docente al MIT) e – per l’Italia – da Roberto Cingolani (ex ministro e attuale ad di Leonardo) è concepita per garantire una gestione professionale in linea con le prassi del venture capital, pur essendo finanziata da stati sovrani, sottolinea ancora la testata.

LA DIFFERENZA CON I FONDI DI VENTURE CAPITAL TRADIZIONALI

Sempre Sifted evidenzia che, a differenza dei fondi VC tradizionali, qui i Limited Partner (LP) – cioè gli investitori che apportano il capitale – sono gli Stati alleati, tramite i loro Ministeri della Difesa o veicoli pubblici affini.

Circa metà dei LP sono Ministeri della Difesa, gli altri includono ad esempio finanziarie pubbliche come la finlandese Tesi o l’estone SmartCap. In sostanza, i Paesi Nato hanno agito come investitori istituzionali sottoscrivendo impegni pluriennali nel fondo, cosa del tutto inusuale per un’alleanza militare.

Come spiega un documento del Parlamento italiano, il Nif è “un fondo multinazionale di venture capital in cui i Paesi alleati agiscono come Limited Partner (soci con responsabilità limitata al capitale investito) per fare investimenti mirati in startup nazionali di tecnologie dual use e dirompenti in aree chiave per la sicurezza dell’Alleanza”

Si tratta dunque di un’iniziativa “pilot” mai vista prima: “nulla di questa scala o ambizione era mai stato tentato da un’alleanza militare” osserva Sifted.

UNA GOVERNANCE “ATIPICA”

Questa architettura di governance ha diverse peculiarità, riassume ancora Sifted. Innanzitutto, gli Stati hanno dapprima sottoscritto gli impegni finanziari, poi hanno nominato un Board di supervisori, e solo successivamente – tramite voto dei medesimi Stati/LP – sono stati scelti i managing partner e partner del fondo, cioè il team di venture capitalist incaricato di investire effettivamente il denaro.

Si tratta di una sequenza atipica rispetto al venture capital tradizionale  – insiste la testata – dove di norma sono i gestori stessi (General Partner) a proporre la costituzione del fondo agli investitori. Qui invece la struttura è top-down, plasmata dagli Stati: la selezione dei partner si è rivelata “difficile” data la necessità di conciliare le richieste di molteplici governi e trovare persone adatte in tempi stretti.

Secondo il Nif, eventuali nuovi partner sono nominati dal consiglio di amministrazione e approvati dai finanziatore.

I CINQUE PARTNER INIZIALI

E ora arriviamo ai cinque partner iniziali nominati: Thorsten Claus, Andrea Traversone, Kelly Chen, Chris O’Connor e Patrick Schneider-Sikorsky. Quest’ultimi non detengono quote del fondo come tipici GP, ma ricevono comunque una carried interest (percentuale sugli utili) come incentivo. Questa formula ibrida – partner senza equity nel fondo ma con bonus sui rendimenti – è insolita nel settore e, secondo le fonti di Sifted, inizialmente ha creato un certo “disagio” per i manager provenienti dal mondo VC tradizionale.

Tanto che alcuni LP più esperti (es. fondi di venture pubblici) hanno chiesto maggiore trasparenza sulla struttura e sui flussi informativi board-LP, trattandosi di un modello nuovo, rileva ancora Sifted.

PIÙ TRASPARENZA

Sempre Sifted riporta che la vicepresidente Murray ha dichiarato a che non è stata condotta alcuna indagine formale, ma ha aggiunto che “si sta discutendo di come garantire un flusso di informazioni tra il consiglio di amministrazione e gli LP; gli LP, molto ragionevolmente [come per] qualsiasi supervisione di qualcosa di innovativo, vogliono solo assicurarsi che ciò che abbiamo scritto (nella struttura) fosse implementato correttamente. Abbiamo avuto discussioni molto approfondite e solide, a testa alta e in avanti”.

FONDO NATO MA SOGGETTO PRIVATO

Inoltre, non bisogna dimenticare che il Nif, pur avviato su impulso Nato, è formalmente un soggetto privato e for-profit.

Come si legge sul sito web di Diana (Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic), “il Nato Innovation Fund (Nif) è un ente privato a scopo di lucro che ha ricevuto l’autorizzazione a utilizzare il nome Nato. Il Nif è un fondo di capitale di rischio autonomo, il cui capitale proviene da 24 paesi sovrani dell’alleanza Nato. La Nato, in quanto organizzazione, non riceve investimenti finanziari né è coinvolta nel processo decisionale”.

Nel 2023 Ingrid Lunden su TechCrunch ha osservato che “non è chiaro se esistano limiti per quanto riguarda le tipologie di aziende che il Fondo sosterrebbe o con cui collaborerebbe”. Non è nemmeno chiaro se la Nato sarà trasparente su ogni investimento che effettuerà, o se ce ne saranno alcuni che rimarranno riservati” ha aggiunto Lunden.

MENO CHIARA LA QUESTIONE ACCOUNTABILITY

Questo status può rendere meno chiaro il quadro di responsabilità e trasparenza.

Come notava in un articolo del 2024 il ricercatore Ian Davis del Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) – think tank di ricerca sugli armamenti con sede a Stoccolma – “uno dei rischi di una scarsa supervisione di tali programmi è la potenziale “influenza ingiustificata” da parte del complesso militare-industriale”.

TRE PARTNER IN FUGA

“Nel capitale di rischio, il senior management team è la mente dietro le decisioni di investimento”, aveva dichiarato David van Weel, Assistente Segretario Generale della Nato per le Sfide Emergenti in materia di Sicurezza, nel 2023. “Sono fiducioso che il Founding Team del Nato Innovation Fund abbia l’esperienza, la determinazione e le capacità necessarie per realizzare la missione del Nif”.

Eppure, a soli tre anni dal lancio ufficiale del Nif pesa l’uscita di ben tre dei cinque partner fondatori.

La prima dipartita è avvenuta un anno fa, nel luglio 2024, quando Thorsten Claus, co-fondatore, si è dimesso. Secondo ricostruzioni di Sifted, Claus aveva maturato divergenze strategiche con il managing partner Andrea Traversone. Lo stesso Traversone che ha lasciato il fondo a settembre 2024.

La terza uscita risale invece al mese scorso: Chris O’Connor, unico partner con background militare (ex U.S. Air Force e venture capitalist in Silicon Valley), ha abbandonato il team, riporta sempre Sifted. Dei fondatori iniziali, ad oggi restano in organico solo Patrick Schneider-Sikorsky (imprenditore deep tech, già fondatore Beast Ventures) e Kelly Chen (proveniente dal fondo US DCVC).

REAZIONI E COMMENTI

È evidente che un turnover così elevato in una squadra così piccola – tre uscite su cinque membri originari – non è usuale e ha destato preoccupazione nell’ecosistema. Fonti vicine al fondo descrivono un contesto di “mancata sintonia” iniziale tra partner che “non avevano mai lavorato insieme”, assunti in tempi rapidi per volontà del board e degli Stati. Fiona Murray ha minimizzato la vicenda, parlando di “fisiologico assestamento da startup” e della necessità di “imparare facendo” in un progetto del tutto nuovo.

Altri osservatori del settore, come Michael Jackson, un investitore nel settore della difesa con sede a Parigi, ritengono che “sia un peccato, ma comunque risolvibile. Chi detiene il potere deve mettere da parte il proprio ego e tornare al tavolo da disegno”, ha affermato in un recente post su LinkedIn. “Tifo per il Nif, ma è adesso o mai più per risolvere” i nodi.  “I suoi difetti di progettazione e i problemi strutturali devono essere affrontati con disperato impegno”, ha aggiunto. “La Nato e i paesi investitori devono capire che un’azienda in tale disordine invia segnali molto negativi al mercato, con effetti a catena indesiderati”.

POTENZIALE CONFLITTO DI INTERESSI

Infine, uno dei nodi più spinosi è il potenziale conflitto di interessi rappresentato dal presidente del fondo, l’investitore tecnologico tedesco di alto profilo Klaus Hommels.

Come già detto Hommels è un investitore attivo nel deeptech. La società di venture capital da lui fondata, Lakestar, con sede a Zurigo e 2 miliardi di euro di asset in gestione, ha precedentemente investito nella difesa e sta attualmente raccogliendo fondi dedicati alla difesa. Hommels condivide almeno due società in portafoglio con il Nif, fatto segnalato come potenziale conflitto di interessi dalla testata investigativa Follow the Money.

Sempre Sifted riporta che Lakestar ha investito in almeno due aziende sostenute anche dal Nif: la startup tedesca di razzi Isar Aerospace e la startup tedesca di robotica autonoma ARX Robotics. Mentre alcuni criticano la sovrapposizione, una persona nell’ecosistema sottolinea che ci sono poche opzioni per gli investitori nel settore della difesa che desiderano sostenere un produttore europeo di razzi, ricostruisce la testata.

Tuttavia, sempre Hommels è attivamente coinvolto nella consulenza ad alcune di queste aziende in portafoglio condiviso. Il co-fondatore e ceo di ARX Robotics, Marc Wietfeld, ha dichiarato a Sifted di ricevere consigli da Hommels, sebbene non esplicitamente tramite il suo ruolo nel Nif: “Klaus è una persona a cui chiedo consiglio… direi, su questioni di alto livello; principalmente relative al capitale di rischio e alle politiche”.

LA POSIZIONE DEL NIF

In una dichiarazione, la responsabile della comunicazione del Nif, Amalia Kontesi, ha dichiarato a Sifted: “I suggerimenti secondo cui qualsiasi membro del consiglio di amministrazione del Nif, o la Nif e i suoi dipendenti, avrebbero un’influenza indebita o impropria sulle nostre decisioni di investimento non sono solo fuorvianti, ma categoricamente falsi. Respingiamo categoricamente tali insinuazioni. Laddove i membri del consiglio di amministrazione siano tenuti a fornire supervisione nell’ambito della nostra struttura di governance, le nostre politiche di conformità gestiscono efficacemente qualsiasi conflitto di interessi, reale o potenziale”.

Fiona Murray, vicepresidente del Nif, ha affermato a Sifted in un’intervista che il fondo sta ora lavorando per “affinare” la propria visione e che il consiglio di amministrazione si è “assicurato di aver imparato la lezione dal NIF negli ultimi due anni”, con l’obiettivo di garantire che il fondo sia ben posizionato strategicamente e organizzativamente per avere successo.

Murray ha poi precisato che “i partner decidono gli investimenti in modo indipendente dal board, che non fa parte del comitato investimenti”, a garanzia della separazione tra supervisione strategica e scelta delle singole operazioni.

I PRIMI INVESTIMENTI

Nel frattempo, nel giugno 2024 il Nato Innovation Fund (Nif) ha confermato di aver investito direttamente in quattro aziende tecnologiche europee, che hanno affermato avrebbero contribuito ad affrontare le sfide in materia di difesa, sicurezza e resilienza, e in quattro fondi di venture capital.

Successivamente il fondo di venture capital della Nato ha investito, tra gli altri, nella britannica Kraken Technology Group (veicoli marittimi senza equipaggio) insieme al fondo strategico inglese NSSIF, e ha guidato un round da 35 milioni di dollari nella biotech Portal (settore sequenziamento proteico) insieme al fondo Earlybird.

E I PRIMI INTERROGATIVI

Come evidenzia a Startmag un esperto di venture capital che ha richiesto l’anonimato, “è evidente la forte presenza anglosassone e nordeuropea nelle operazioni iniziali. Questo ha alimentato un interrogativo: i benefici del fondo saranno equamente distribuiti tra gli alleati oppure concentrati dove l’ecosistema è più maturo? Ciò tocca da vicino gli interessi italiani”.

IL MEETING DI VENEZIA

Proprio nei giorni scorsi il ministero della Difesa ha reso noto che lo scorso 1° luglio si è tenuto l'”Italian Innovation Ecosystem Reception, l’evento ospitato dalla Direzione Nazionale degli Armamenti e dal NATO Innovation Fund (NIF), presso l’Arsenale Militare di Venezia”.

“L’ambizioso obiettivo – spiega la nota del dicastero – è stato quello di creare nuove sinergie e di rafforzare il network già esistente tra diversi attori che concorrono alla crescita del Sistema Paese nel settore delle tecnologie emergenti e dirompenti e, in particolare, in quelle dell’underwater e dello Spazio, quali Centri di Ricerca, Start-Up, medie e piccole imprese, rappresentanti della Difesa, del mondo del Ventur Capital e del mondo accademico, con i rappresentanti del Nif e con gli esponenti dei vari Ministri coinvolti.”

Non a caso, all’LP Meeting previsto a Venezia a luglio 2025 (le riunioni semestrali di tutti gli investitori/Paesi) il tema chiave all’ordine del giorno è proprio il “framework strategico e la governance” futura del fondo. In quell’occasione – anticipava ancora Sifted – diversi partecipanti auspicano un riassetto, e non si escludeva un passo indietro di Hommels dalla presidenza.

(1. segue)

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