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La sinistra va in guerra contro la Nato

L'accordo in sede Nato, il ruolo di Meloni e le critiche delle sinistre. La Nota di Sacchi.

Se Elly Schlein, sull’impegno sottoscritto anche dall’Italia al vertice Nato del 5 per cento del Pil per le spese della difesa entro il 2035, accusa il governo del rischio di far saltare lo stato sociale, Giuseppe Conte evoca il rischio di “disastro sociale”. Poi, giù duri, insieme con Avs di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, con l’accusa di “obbedire a tutto quello che fa Trump”.

Insomma, dall’opposizione le sfumature saranno pure state diverse, più istituzionale in parlamento la segretaria del Pd dopo il colloquio con Giorgia Meloni dei giorni scorsi, ma la sostanza dell’approccio barricadero, più da campagna elettorale che con al centro i contenuti di una controproposta, non cambia. Continua ad essere questa la cifra delle opposizioni, lontane dal rappresentare un credibile fronte alternativo. Smentito platealmente Matteo Renzi che proprio l’altro ieri accusava il premier di tenere lontano il nostro Paese “dai tavoli che contano”: solo poche ore dopo facevano il giro del mondo le foto di Meloni seduta accanto al presidente Usa, con il quale ha avuto un lungo colloquio dal Medio Oriente ai dazi, al tavolo d’onore della cena del vertice Nato in Olanda.

Meloni, che oggi a Bruxelles parteciperà al Consiglio Europeo, rivendica l’accordo sul 5% alla Nato come una vittoria molto italiana e respinge le critiche dell’opposizione su un governo che toglie fondi al welfare per dirottarli sul riarmo. “Non distoglieremo un euro da altre priorità a tutela degli italiani”, assicura il presidente del Consiglio respingendo al mittente cifre e accuse ventilate dai banchi di Pd e M5S nel corso del suo intervento dei giorni scorsi in Parlamento. Ma allontana anche il pressing dell’Ue sull’utilizzo della clausola di salvaguardia per la difesa. “Nel 2026 non la attiveremo”, annuncia Meloni.

Alla cena dei leader ospitata dai Reali d’Olanda nel cuore della capitale la premier ha avuto accesso al tavolo più ambito, quello con il presidente americano. E, forte dell’alleanza che la lega a Trump, Meloni ha avuto modo di porre l’accento con lui su questioni nodali. “Ho detto che la determinazione usata sull’Iran va mostrata anche sull’Ucraina e su Gaza, dove la situazione è insostenibile”, ha raccontato Meloni.

La mattina seguente, al Summit Nato vero e proprio, Meloni ha preso la parola, sottolineando la necessità di un sostegno a lungo termine per Kiev. Un concetto che ha ribadito nel primo pomeriggio quando, assieme ai leader di Francia, Germania, Gran Bretagna e Polonia, ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Tra i leader europei Meloni ha sempre sostenuto la necessità di aumentare le spese della Nato. Ai cronisti il premier illustra i possibili effetti positivi che il riarmo e lo sprint sulla sicurezza potrà avere sulle imprese italiane.

Quasi a farle eco la Borsa di Milano registrava un balzo di tutte le aziende del settore della difesa, a cominciare da Leonardo. “Se siamo bravi si potrà creare un circolo virtuoso, una politica espansiva”, ha osservato Meloni. Anche perchè nella grande famiglia delle spese in sicurezza i governi potranno inserire voci disparate, dal digitale ai trasporti. Per il ministro degli Esteri Antonio Tajani, anche lui al Summit de L’Aja, anche il Ponte sullo Stretto potrebbe rientrarci. Le sue parole non hanno convinto per nulla l’opposizione.

Schlein, da Bruxelles, è tornata all’attacco. “Avrebbe dovuto tenere la stessa posizione della Spagna, ma non è in grado di dire no all’amico Trump”, ha sottolineato la segretaria del Pd facendo riferimento al niet di Pedro Sanchez sul 3,5%. Una mossa che, per Meloni, è solo apparenza. “L’Italia ha fatto come la Spagna, o viceversa”, afferma. A chi gli chiede della posizione della Lega particolarmente contraria a spese per il riarmo Meloni rivendica la compattezza della maggioranza: a votare la risoluzione sul Summit della Nato in parlamento è stata “tutta la maggioranza”. Mentre le opposizioni si sono divise in 5 risoluzioni.

Meloni ha insistito su un punto: “Noi dobbiamo decidere dove stiamo, facciamo parte della Nato che è il sistema di difesa occidentale, e che è basata su eserciti nazionali che cooperano”. Più che il riarmo Ue Meloni preferisce la formula del rafforzamento della colonna europea della Nato. Una posizione che sembra distinguersi da quella di chi parla di esercito europeo e sembra attenuare di molto il pressing sul riarmo europeo, lasciando intendere che se l’Italia si impegna nella Nato per il 5 per cento sulla difesa che è per l’1,5 per cento anche sicurezza nazionale, ovviamente sembra meno propensa a indebitarsi per piani di riarmo Ue.

In tutto questo crocevia di sfide epocali in un ordine mondiale percorso da capovolgimenti da brivido, niente di nuovo dal fronte delle opposizioni sempre di protesta e niente proposta.

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