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A Dresda Volkswagen rimpiazza gli operai con gli universitari

L'impianto di Dresda, che dopo l'esperimento mai riuscito della Phaeton era stato destinato prima alla Golf elettrica poi alla linea Id, sembra alle battute finali: Volkswagen starebbe per siglare un accordo con l'Università di Dresda per trasformare parte della struttura in un campus per la ricerca. Non è chiaro se l'altra metà continuerà a produrre vetture anche dopo il 2025.

Della chiusura della fabbrica di Dresda, impianto che Volkswagen aveva destinato negli ultimi anni alla costruzione di auto elettriche, prima con la Golf a batteria poi con la linea ecologica Id., si parlava da ben prima della crisi che ha investito prepotentemente Volkswagen. Solo in queste ore, però, il Gruppo ha confermato almeno in parte le ricostruzioni della stampa locale sull’avvio di una interlocuzione con l’Università Tecnica della città sassone per un utilizzo congiunto dell’area.

L’ACCORDO CON L’ATENEO PER SALVARE DRESDA

Tradotto dal burocratese entro il quale ci si rifugia quando la situazione non è troppo positiva, parte dell’impianto sarà ceduto all’ateneo locale che ne farà un campus d’ultima generazione improntato alla ricerca. Sempre la stampa anticipa che, se l’accordo dovesse essere siglato entro questa estate, metà del sito attuale potrebbe essere messa a disposizione dell’Università già dal prossimo anno, mentre la parte restante dovrebbe restare di proprietà della Volkswagen.

UNA VITA BREVE E DIFFICILE

A dispetto dell’impatto estetico dell’edificio, assai imponente, che si compone di più parti con quella maggiormente caratteristica rappresentata da un enorme silo trasparente che gli è valso il nome di “Gläserne Manufaktur” (fabbrica di vetro), l’impianto di Dresda non ha mai occupato un numero significativo di operai, anche perché essendo votata alla produzione di auto elettriche (l’altro soprannome è infatti “Home of Id.” che richiama la linea di vetture alla spina del costruttore tedesco) non c’è mai stata l’esigenza di premere sull’acceleratore della produttività.

Inaugurata nel 2002 e fortemente voluta dall’allora numero uno Volkswagen Ferdinand Piech per produrre la Phaeton, ammiraglia che nei piani originari avrebbe dovuto rappresentare la risposta di Vw a Bmw e Mercedes mentre nei fatti si è fermata a sole 84.235 vetture prodotte, non ha mai avuto vita facile. Destinarla alle Id. ha fatto il resto. Progettata per sfornare 20mila vetture all’anno, nel 2023 aveva prodotto appena 6mila Id.3.

I COSTI E I RISPARMI

Wolfsburg aveva già concordato con i sindacati la progressiva dismissione della fabbrica: i 320 impiegati continueranno a produrre le Id.3 fino ad almeno il prossimo dicembre, dopodiché molto dipenderà dal mercato e dallo stato dei conti del gruppo. Allo stato attuale ogni opzione, anche quelle maggiormente dolorose, resta sul tavolo, come la possibilità di cessare in toto la produzione automobilistica.

L’esigenza di Wolfsburg, del resto, è tirare i cordoni della borsa: già nel 2023 la testata tedesca Automobilwoche aveva svelato che i costi operativi annuali dell’impianto oscillassero tra i 60 e i 70 milioni di euro mentre lo stop alla produzione comporterebbe un risparmio di circa 20 milioni di euro all’anno.

GLI ALTRI IMPIANTI IN BILICO

Sono dieci in totale le fabbriche a rischio chiusura in Germania e tre secondo il piano di risparmi miliardario varato dalla dirigenza quelle che inevitabilmente dovranno tirare giù le serrande o confidare, nella migliore delle ipotesi, in una riconversione.

L’attenzione di tutti è focalizzata su Osnabrück che attualmente impiega 2.300 dipendenti e produce T-Roc e Porsche 718. Il suo rateo di fuoco nel 2023 era stato di 28mila unità contro le 100mila che potrebbe produrre a pieno regime. Nel 2024 ha perso una commessa in cui confidava Porsche e negli scorsi mesi, coi venti di guerra che hanno ripreso a soffiare in modo prepotente anche in Europa, si era fatta avanti Rheinmetall (una delle principali aziende tedesche nel settore della difesa, coinvolta anche nella produzione di componenti auto) lasciando intendere fosse disposta ad acquistare almeno uno degli stabilimenti in via di dismissione.

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