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Che cosa succederà all’economia americana

Fatti, numeri e scenari sull'economia degli Stati Uniti. L'analisi di Massimo De Palma, Head of Multi Asset Team di GAM (Italia) SGR.

La scorsa settimana la Corte del Commercio Internazionale ha annullato buona parte dei dazi “reciproci” voluti da Trump, giudicandoli illegittimi. Una Corte d’Appello ha però sospeso temporaneamente la sentenza, mantenendo le tariffe in vigore.

Intanto, la seconda lettura del PIL USA è stata rivista al rialzo, pur restando in territorio negativo, grazie a scorte superiori alle attese. A pesare, però, è la netta revisione al ribasso dei consumi.

Sul fronte negoziale, il segretario al Tesoro Bessent ha ammesso che i colloqui con la Cina sono in stallo e ha invocato un intervento diretto di Trump e Xi per sbloccare l’impasse. Trump dopo aver accusato la Cina di aver violato gli accordi ha detto di essere pronto a parlare con Xi per cercare una soluzione. Nel frattempo ha annunciato il raddoppio dei dazi su acciaio e alluminio. Un insieme di mosse che conferma quanto il quadro resti instabile, incerto e soggetto agli umori di Trump.

L’inflazione continua a rallentare nei principali Paesi dell’area euro, rafforzando le attese per un taglio dei tassi da parte della BCE. A maggio, l’inflazione armonizzata è scesa all’1,9% in Italia e Spagna, e allo 0,6% in Francia, il livello più basso da oltre quattro anni. Anche in Germania la crescita dei prezzi si è attenuata, al 2,1%, ma meno del previsto. Il calo è guidato da energia e servizi, con segnali di disinflazione diffusa. Ma restano in agguato i rischi legati alle tensioni tariffarie.

A maggio, la fiducia dei consumatori statunitensi ha segnato un forte rimbalzo, interrompendo la serie negativa delle scorse rilevazioni. L’indice del Conference Board è salito di 12,3 punti a quota 98 – il maggiore incremento mensile dal 2020 – battendo tutte le stime degli analisti. A trainare l’aumento, l’allentamento delle tensioni commerciali con la Cina, dopo la tregua sui dazi siglata il 12 maggio. La ripresa è stata ampia, con miglioramenti trasversali per età, reddito e orientamento politico. L’indice delle aspettative sui prossimi sei mesi ha registrato il balzo più forte dal 2011. I consumatori si mostrano più fiduciosi su economia, mercato del lavoro e redditi, e aumenta la propensione alla spesa per beni durevoli e vacanze. Resta però contrastato il giudizio sul mercato del lavoro. In calo, infine, le aspettative di inflazione, complice anche la discesa dei prezzi della benzina citata da molti partecipanti al sondaggio.

La seconda lettura del PIL USA per il primo trimestre mostra una contrazione dello 0,2% annualizzato (rispetto al -0,3% iniziale). La revisione al rialzo riflette un aumento delle importazioni e delle scorte, anche per anticipare possibili dazi. I consumi, principale motore dell’economia, sono stati invece rivisti al ribasso (da +1,8% a +1,2%), con una domanda più debole per auto e servizi. Il commercio estero ha pesato più del previsto, sottraendo quasi 5 punti percentuali al PIL: l’impatto peggiore mai registrato. In calo anche il reddito nazionale lordo (-0,2%), segnalando un indebolimento diffuso. I dati pubblicati venerdì scorso confermano alcune di queste dinamiche: ad aprile le importazioni di beni sono crollate di quasi il 20%, dopo l’accumulo registrato nel primo trimestre in vista dei dazi, mentre la spesa reale è cresciuta appena dello 0,1%. Un segnale di maggiore cautela da parte dei consumatori. Le incertezze legate alle politiche commerciali restano dunque un fattore di rischio per la crescita.

Mercoledì scorso, la Corte del Commercio Internazionale ha inflitto un duro colpo all’agenda tariffaria dell’amministrazione Trump, giudicando illegittimi i dazi “reciproci” imposti tramite l’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA), una legge del 1977 pensata per emergenze economiche derivanti da minacce esterne. La sentenza, nata da ricorsi presentati da piccole imprese e da dodici Stati federali, vieta in via permanente l’applicazione di quelle tariffe, sostenendo che l’amministrazione abbia abusato delle prerogative presidenziali. La Casa Bianca ha reagito duramente, definendo la decisione un’ingerenza giudiziaria nelle prerogative dell’esecutivo e ha annunciato ricorso. Secondo Bloomberg Economics, la decisione, se confermata, porterebbe il livello effettivo delle tariffe statunitensi da un picco del 27% a meno del 6%, ridimensionando drasticamente lo strumento centrale della strategia commerciale trumpiana.

Giovedì scorso però la Corte d’Appello Federale ha temporaneamente sospeso l’applicazione della sentenza, consentendo alla Casa Bianca di continuare, almeno per ora, a difendere le misure tariffarie in attesa del giudizio definitivo. L’amministrazione ha già annunciato l’intenzione di ricorrere fino alla Corte Suprema.

Tutto questo aggiunge caos al caos: aumenta l’incertezza proprio mentre i principali Paesi stanno negoziando i nuovi equilibri commerciali. L’instabilità giuridica e politica attorno ai dazi rende più difficile per imprese e governi prevedere le regole del gioco, ostacolando decisioni strategiche su investimenti e catene di fornitura. Anche i mercati finanziari ne risentono: l’incertezza normativa e il rischio di svolte improvvise sulle politiche tariffarie rendono più difficile valutare l’evoluzione di utili, inflazione e tassi, alimentando volatilità e cautela nelle scelte di asset allocation.

Anche oggi ci occupiamo di spread, ma non del solito BTP-Bund. Stavolta il focus è sul differenziale tra il decennale greco e quello italiano. Negli ultimi tre anni questo spread non solo si è chiuso, ma si è addirittura invertito: Atene paga meno di Roma, anche se il trend sta cambiando. La Grecia ha beneficiato di tre upgrade tra fine 2023 e inizio 2025, tornando investment grade. Questo ha ampliato la platea di investitori eleggibili (fondi, assicurazioni, banche) e, insieme alla bassa emissione netta, ha rafforzato la domanda. La stabilità politica e l’impegno sulle riforme hanno migliorato ulteriormente il profilo di rischio, pur con un debito/PIL ancora alto. L’Italia, invece, ha continuato a pagare un premio per via dello stock di debito elevato (oltre il 135% del PIL), dell’assenza di crescita strutturale e della graduale uscita degli investitori esteri. Il Tesoro ha compensato coinvolgendo il retail domestico, ma il tema della sostenibilità del debito resta centrale. Dai minimi di fine 2023, lo spread ha però iniziato a risalire: Moody’s ha migliorato l’outlook sul debito italiano grazie a un deficit più contenuto del previsto, dando slancio ai BTP. Intanto, l’interesse per il debito greco si è raffreddato: i flussi di ETF si sono ridotti e la sopravalutazione comincia a pesare. Così dai -60 basis point siamo risaliti a -20. E non è escluso che presto il BTP torni a rendere meno del bond greco.

Maggio è stato un buon mese anche per le borse europee, sostenute da una forte ripresa dei buyback. Il Solactive European Buyback Index, che replica l’andamento dei titoli di società europee che hanno annunciato riacquisti azionari negli ultimi due mesi, è salito dell’8,5%, quasi il doppio dello Stoxx 600. Il rapporto di prezzo tra i due indici è sui massimi assoluti. Ad aprile, secondo Barclays, le società dello Stoxx 600 hanno riacquistato azioni per un valore record di 17 miliardi di euro, e molti programmi restano attivi. Anche un paniere di Goldman Sachs composto dai titoli con i più alti rendimenti da buyback ha toccato nuovi massimi. I riacquisti segnalano bilanci solidi e un contesto di redditività favorevole, elementi che continuano a offrire sostegno al mercato.

Nvidia mercoledì scorso ha pubblicato risultati solidi per il primo trimestre: ricavi in crescita del 69% a 44,1 miliardi di dollari e utile per azione rettificato di 0,96 dollari, nonostante una svalutazione da 4,5 miliardi dovuta al blocco delle vendite in Cina. Il segmento data center (39,1 miliardi) è leggermente sotto le attese, ma la crescita resta robusta. La guidance per il trimestre in corso prevede ricavi per 45 miliardi, in linea con le stime, pur includendo un impatto negativo stimato in 8 miliardi legato alle nuove restrizioni all’export. Durante la call, il CEO Jensen Huang ha criticato le politiche commerciali statunitensi, affermando che la Cina ha già un’industria AI avanzata e che le restrizioni danneggiano la competitività globale degli USA. Ha inoltre ribadito una visione ottimista sull’Intelligenza Artificiale come infrastruttura strategica, evidenziando in particolare il potenziale dell’“agentic AI”, sistemi autonomi in grado di operare e pianificare senza supervisione, che richiederanno una capacità di calcolo significativamente superiore, con effetti diretti sulla domanda di semiconduttori.

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