La vera domanda su Elon Musk è: ha raggiunto il suo obiettivo oppure no? Il suo ingresso in politica a fianco di Donald Trump è un po’ come il suo acquisto per 44 miliardi di Twitter nel 2022: sembra una mossa assurda, controproducente, che distrugge valore invece che crearlo.
Ma soltanto se analizzata fuori dal contesto in cui è inserita, cioè fuori dalla ragnatela di interessi, ambizioni, scommesse e visioni dell’uomo più ricco e pericoloso del mondo.
La faglia con Trump
Molti segnali indicano che Elon Musk ha iniziato le sue manovre di distacco dal presidente degli Stati Uniti. Il suo DOGE, il Dipartimento per l’efficienza governativa che Musk guida, si vanta di aver risparmiato 175 miliardi di dollari tagliando con la motosega dipendenti pubblici, programmi governativi, aiuti allo sviluppo internazionali. Fanno 1.000 dollari per ogni contribuente americano.
Varie inchieste giornalistiche hanno smontato questi risultati, soprattutto per quanto riguarda i risparmi maggiori, contratti per miliardi che in molti casi sono semplicemente arrivati a naturale scadenza o erano già stati cancellati dall’amministrazione Biden.
Comunque, a spazzare via ogni possibilità che il DOGE possa risanare i conti americani è arrivato l’unico a cui Musk non può opporsi, cioè Donald Trump, che ha appena fatto approvare alla Camera dei rappresentanti la sua legge di bilancio soprannominata “Big, Beautiful Bill”.
Oltre 1000 pagine che prevedono un aumento di quasi 3.000 miliardi di dollari di deficit nel prossimo decennio, soprattutto per finanziare una massiccia riduzione delle tasse analoga a quella che nel 2017 ha contrassegnato la prima amministrazione Trump.
Tra le urgenze c’è proprio quella di rifinanziare quell’intervento che ha ridotto l’aliquota marginale massima al 37 per cento, con molti benefici soprattutto per i più benestanti.
Un altro dettaglio che Musk avrà sicuramente notato è la fine dei sussidi per l’acquisto di auto elettriche che andranno a esaurirsi.
E’ chiaro che l’intera azione del DOGE pare ora priva di ogni senso contabile: i 175 miliardi di risparmi vantati da Musk sembrano uno sforzo inutile di fronte ai 3.000 miliardi di deficit pianificati da Trump.
E infatti Musk ha espresso il suo disappunto in una intervista televisiva che molti hanno interpretato come una presa di distanza non soltanto dalla legge di Bilancio, ma dall’intera amministrazione Trump.
Nei giorni scorsi, Musk aveva anche annunciato l’intenzione di ridurre il suo finanziamento alla politica, che nel 2024 aveva raggiunto la cifra record di quasi 300 milioni di dollari per sostenere il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.
Un messaggio in vista delle elezioni di midterm del 2026 che sono già al centro delle strategie di tutti e che può essere interpretato come un distacco dal campo Repubblicano o una richiesta di qualche favore se i candidati trumpiani vogliono ancora beneficiare dei suoi milioni.
Musk ha subito una sconfitta a marzo scorso, quando ha investito oltre 20 milioni nella corsa per la Corte suprema del Wisconsin, per un misto di interessi politici e aziendali, oltre che di megalomania: la sua Tesla aveva un contenzioso legale in quello Stato che è decisivo per gli equilibri politici nazionali.
Il candidato di Musk ha perso e molti hanno attribuito la responsabilità proprio al suo finanziatore così ingombrante e divisivo.
I critici di Elon Musk dentro l’amministrazione e il mondo Repubblicano, in particolare l’ex stratega Steve Bannon tornato rilevante, sono diventati sempre più espliciti, anche se sui dazi Trump si è rassegnato a seguire più la linea pragmatica suggerita da Musk – con trattative, accordi, sospensioni delle misure più assurde – rispetto a quella dell’altro consigliere storico Peter Navarro.
Il prezzo che Musk sostiene di aver pagato per la politica, nel frattempo, è diventato sempre più alto: le vendite di auto elettriche di Tesla sono in calo sia negli Stati Uniti che in Europa, dove da un anno all’altro la riduzione è stata di un pesante 49 per cento.
Il settore sta anche diventando più competitivo, con i concorrenti cinesi, in particolare BYD, che tagliano i prezzi per aumentare i volumi di vendita e quindi rendono la vita ancor più difficile a Tesla che ormai non ha più il vantaggio di essere all’avanguardia nella mobilità elettrica.
Anche SpaceX ha qualche problema: l’ultimo lancio di prova del più grande razzo mai costruito, come rivendicavano con orgoglio gli ingegneri, è finito male, non è riuscito a mettere in orbita i finti satelliti Starlink che trasportava per il test, una parte del veicolo è andata dispersa nel rientro e adesso l’azienda deve cercare di ripulire l’Oceano indiano dai detriti.
Musk e i suoi hanno comunque spostato l’attenzione dagli incerti risultati politici: riecco il vecchio Musk, quello che è disposto a rischiare tutto per tentare imprese tecnologiche impossibili che, presto o tardi, gli riescono.
In questi giorni Musk sta rilanciando per l’ennesima volta le sue promesse irrealistiche e irrealizzabili di portare esseri umani su Marte entro il 2029 e di costruire la prima città marziana nei prossimi due decenni.
Per sua fortuna SpaceX non è quotata in Borsa, altrimenti questo genere di annunci mai mantenuti potrebbero costargli l’accusa di manipolare il mercato.
Di sicuro Musk sta spostando la sua attenzione, o almeno la sua narrazione, di nuovo verso le aziende, più lontano da Washington. Ma questo significa che l’avventura politica è stata un fallimento? O invece ha semplicemente completato la missione?
Poiché Elon Musk è abilissimo a controllare la narrazione delle sue gesta, è sempre difficile dare questo genere di risposte. Di sicuro, Musk è entrato nell’amministrazione Trump con un permesso temporaneo per agire come impiegato federale, dunque fin dall’inizio era prevista una scadenza.
Il DOGE avrà tagliato qualche miliardo, o fatto finta di tagliarlo, ma soprattutto ha consentito a Elon Musk di mettere uomini suoi, staff delle sue aziende, al centro di tutte le principali declinazioni dell’amministrazione pubblica americana. Ha avuto accesso a dati sensibilissimi, come i pagamenti delle prestazioni sociali ai cittadini americani, ha raccolto informazioni classificate. E tutto questo lo ha fatto nella più completa opacità: nessuno è in grado di stabilire che cosa hanno fatto i giovani ingegneri e programmatori che da mesi si sono insediati in agenzie e ministeri, con la possibilità di conoscere tutto e pochissimi limiti all’utilizzo del sapere acquisito.
Sappiamo che Musk ha partecipato a riunioni riservate, si è occupato di politica estera, ha usato la sua diplomazia parallela per influenzare le scelte dell’amministrazione Trump sulla Cina direttamente dallo Studio Ovale.
Nessuno dei concorrenti attuali o potenziali di Musk ha avuto una vicinanza al potere comparabile, nessuno ha potuto acquisire i dati che sicuramente lo staff del DOGE ha raccolto. E per questo Musk dovrà affrontare una battaglia legale, dopo che vari Procuratori generali democratici hanno iniziato un’azione legale contro di lui.
L’esperienza fin qui è un fallimento soltanto se si pensa che l’obiettivo ultimo fosse davvero ridurre la spesa federale americana o perseguire una mai davvero definita “efficienza”. I contribuenti non ci hanno guadagnato nulla, Musk parecchio, anche perché molti dei tagli hanno riguardato le agenzie o i singoli funzionari che dovevano monitorare i suoi business, a cominciare dalla sicurezza stradale di Tesla.
Il costo della politica
Quanto ai costi che ha sostenuto per la politica, beh, sono un altro dei prodotti della narrazione controllata da Musk stesso. Se guardiamo il titolo di Tesla, che ha sempre avuto forti oscillazioni nella sua storia, da inizio anno ha perso il 14,4 per cento, ma negli ultimi dodici mesi ha segnato un aumento del 97,4 per cento. Soltanto nell’ultimo mese ha guadagnato il 31 per cento.
Sappiamo da alcune inchieste giornalistiche che SpaceX ha raccolto capitali da investitori cinesi che hanno approfittato della sua natura privata, cioè non quotata, per stringere rapporti con l’uomo più vicino a Trump senza dare nell’occhio.
Almeno il 40 per cento delle vendite Tesla è nel mercato cinese, senza il quale l’azienda non sarebbe mai diventata redditizia. Musk riesce a essere sia il consigliere del presidente americano a parole più anti-cinese della storia, sia l’imprenditore americano più legato a Pechino.
Poi c’è il grande progetto della Golden Dome, la cupola d’oro anti-missilistica che Trump vorrebbe costruire per rafforzare la sicurezza spaziale degli Stati Uniti e che si reggerà su una costellazione di satelliti. Musk ha smentito di essere direttamente coinvolto, dice che non dovrebbe essere SpaceX a costruirla, ma anche se la sua azienda non fosse al centro del progetto, c’è da scommettere che i fornitori del governo avranno comunque bisogno dei razzi di Musk per mettere in orbita i loro satelliti.
Insomma, è assai arduo sostenere che per Musk la politica sia stata un cattivo investimento. Probabilmente, adesso e in futuro, ci saranno momenti di maggiore esposizione e altri di eclissi, a seconda degli interessi e delle circostanze.
Di sicuro Musk ha già ottenuto alcuni risultati per lui importanti: ha dimostrato che si può ottenere un grande potere e scardinare l’amministrazione pubblica dall’interno senza essere eletti e senza passare dal Parlamento. E ha dato il suo contributo per favorire la svolta della democrazia americana in una direzione autoritaria che molti nella Silicon Valley considerano necessaria per non ostacolare il progresso tecnologico.
E tutto questo gli è costato qualche ora del suo tempo e meno di 300 milioni di dollari, cioè appena lo 0,07 per cento del suo patrimonio.