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Honda auto elettrica

Sol calante sull’auto elettrica: anche Honda si ritira dalle vetture alla spina

Toyota verso il rinvio della costruzione di una fabbrica di batterie a Kanda e del lancio della nuova generazione di Bev al 2027, Mitsubishi straccia l'accordo con Renault sulla sua partecipazione ad Ampere e ora anche Honda rimette l'auto elettrica in garage. A farne le spese è il maxi piano nippo-canadese da 11 miliardi di dollari

Se il Giappone, soprattutto con la capofila Toyota (costruttore numero 1 al mondo) è sempre stato tiepido nei confronti dell’auto elettrica, le temperature dell’ultimo periodo sono allora glaciali. Mentre Mitsubishi fa coriandoli del proprio accordo siglato con la francese Renault per la jv sulla – ormai presunta – mobilità del futuro Ampere e Nissan è in tutt’altre faccende affaccendata dovendo anzitutto risolvere il complesso rompicapo per la sua salvezza finanziaria, Honda è intervenuta pesantemente sul proprio piano quinquennale che vede l’auto puramente elettrica uscire di scena, sostituita dalle ibride.

HONDA SALUTA L’AUTO ELETTRICA

Il nuovo obiettivo industriale del marchio nipponico è raggiungere vendite annuali per almeno 2,2 milioni di esemplari entro il 2030 attraverso il lancio di 13 ibride di nuova generazione nell’arco di quattro anni a partire dal 2027. Rimettere in cantiere l’auto elettrica vuol dire rinviare il progetto tutto canadese per la creazione di una “catena del valore completa”.

SULLO SFONDO TRUMP?

Una inchiodata vera e propria dato che solo lo scorso aprile il costruttore nipponico aveva annunciato l’intenzione di investire fino a 11 miliardi di dollari per creare un polo di produzione di veicoli elettrici in Canada che comprendesse una fabbrica capace di sfornare 240.000 veicoli elettrici all’anno e uno stabilimento per le batterie da 36 gigawattora ad Alliston, Ontario, con il partner di joint venture Posco Future M Co.

Una inchiodata che potrebbe essere stata motivata anche dalle recenti politiche commerciali a stelle e strisce: il mercato dell’auto elettrica stentava a decollare già prima del ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, ma il predecessore, Joe Biden, sosteneva il comparto mediante forti incentivi e progetti di rinnovo delle flotte della pubblica amministrazione federale. Ora con il tycoon al comando non solo ci si attendono rapide sterzate, ma sono già stati varati dazi industriali che oltre a colpire il mondo dell’auto nel suo insieme si concentrano proprio sulle merci che attraversano la frontiera tra Usa e Canada.

HONDA TEME I DAZI DI TRUMP

Attualmente il marchio giapponese produce la maggior parte delle automobili destinate al mercato a stelle e strisce negli Stati Uniti, come pure in Canada e in Messico e dato che le sue esportazioni dal Giappone rappresentano meno dell’1% dei veicoli venduti nella più grande economia mondiale, è chiaro come a preoccupare Honda siano soprattutto i balzelli che gli americani imporranno ai propri confini meridionali e settentrionali.

IL COSTRUTTORE GIAPPONESE CAMBIA I PIANI USA

Lo scorso mese Honda aveva annunciato l’intenzione di spostare la produzione del modello Civic con motore ibrido dal Giappone, nell’impianto di Saitama a nord di Tokyo, al suo stabilimento in Indiana negli Stati Uniti, proprio nel tentativo di mitigare l’impatto delle politiche tariffarie del presidente Donald Trump.

L’azienda ha dichiarato che continuerà a spedire dal Giappone l’auto sportiva Civic Type R, che sarà l’unico modello per il mercato statunitense costruito in patria. Allo stesso modo un’altra conterranea, Nissan (possibile consorte per Honda nella fusione che poi è saltata) secondo quanto comunicato dalla prefettura di Fukuoka, starebbe valutando la possibilità di spostare negli Stati Uniti una parte della produzione nazionale del modello Suv Rogue.

LE FOSCHE PREVISIONI DOVUTE AI DAZI

Honda ha già messo nero su bianco previsioni a dir poco fosche riguardo l’esercizio che si concluderà il 31 marzo 2026. Per il costruttore nipponico i dazi di Trump porteranno a una contrazione del 6,4 per cento del fatturato a 20.300 miliardi di yen, ma soprattutto uno smottamento dell’utile operativo a 500 miliardi, ovvero -58,8% e, a ruota, una inchiodata dell’utile d’esercizio attribuibile ai soci della capogruppo a 250 miliardi che in termini percentuali significherebbe  fare il 70,1% in meno rispetto all’anno appena archiviato.

Tutti i costruttori nipponici sono stati presi in contropiede dai dazi (e sono parecchi gli osservatori che sottolineano come i balzelli sull’auto avessero come solo scopo quello di rallentare la corsa dei marchi giapponesi che da sempre ostacolano i rivali a stelle e strisce). Secondo indiscrezioni, per esempio, Subaru sarà costretta a riversare sull’utente finale statunitensi aumenti che variano da 750 a 2.055 dollari destinati a entrare in vigore a giugno.

Parallelamente, Toyota, marchio più venduto al mondo, ha dichiarato di aspettarsi un crollo del 34,9% dell’utile netto per l’esercizio finanziario 2025-2026 a causa dei dazi di Trump.

HONDA SACRIFICA L’AUTO ELETTRICA

Meno guadagni e più spese per ridisegnare la propria filiera statunitense comportano come ovvia conseguenza la decisione di ridurre da 10 mila a 7 mila miliardi di yen l’ammontare degli investimenti dedicati all’auto elettrica a marchio Honda fino alla fine dell’esercizio fiscale al 31 marzo 2031. L’amministratore delegato Toshihiro Mibe ha chiarito che l’obiettivo de “full electric” per il 2040 resta valido e invariato.

Ma dato che ha motivato la retromarcia sull’elettrico con queste precise parole ( “L’ambiente che circonda l’industria automobilistica sta cambiando di giorno in giorno. L’incertezza nel contesto operativo è in aumento, in particolare a causa del rallentamento dell’espansione del mercato dei veicoli elettrici per diversi fattori come i cambiamenti nelle normative ambientali, che erano state la premessa per l’adozione diffusa dei veicoli elettrici, e nelle politiche commerciali di vari Paesi”) è difficile credere che un traguardo a 15 anni di distanza abbia qualche pretesa di essere considerato attendibile.

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