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Tutti i motivi degli scazzi tra Enel e Confindustria sui prezzi dell’energia

Enel minaccia di lasciare Confindustria per via delle tensioni con le imprese sui prezzi dell'energia elettrica. Le aziende italiane pagano l'elettricità molto più della concorrenza europea; i produttori, sotto attacco, ricordano gli aiuti pubblici agli energivori. Ma qual è la situazione reale?

Enel potrebbe lasciare Confindustria, la principale organizzazione delle imprese italiane, per via delle crescenti tensioni con le cosiddette società “energivore”, cioè che consumano grandi quantità di energia nei loro processi manifatturieri. “Se la situazione non cambia, noi ce ne andiamo” è la dichiarazione riportata qualche giorno fa da Repubblica: non è chiaro chi abbia pronunciato la frase, ma stando al quotidiano questa rappresenterebbe “il pensiero dell’ad della società partecipata dal Mef, Flavio Cattaneo, che sarebbe pronto a lasciare viale dell’Astronomia”.

La situazione in Confindustria vede contrapposte le società produttrici e fornitrici di energia, da una parte, e le società consumatrici dall’altra: le seconde si lamentano per i prezzi alti delle bollette energetiche, che fanno salire i costi di produzione e danneggiano la loro competitività a livello internazionale. Per il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, il prezzo dell’energia “non è un problema, ma è il problema” delle imprese italiane. Ma Confindustria rappresenta anche gli interessi dei produttori di energia, riuniti nell’associazione Elettricità Futura, il cui presidente – da dicembre scorso – è un top manager di Enel: Gianni Vittorio Armani, direttore dell’unità Reti e Innovazione.

LO SCONTRO SUL DECRETO BOLLETTE

A fine aprile il Senato ha approvato il decreto Bollette del governo, ossia il decreto legge per contenere l’aumento delle bollette agli utenti domestici e alle imprese attraverso lo stanziamento di 3 miliardi di euro.

Il vicepresidente di Elettricità Futura, Giuseppe Argirò, ha dichiarato che “il decreto va incontro a esigenze necessarie e su questo esprimiamo un giudizio positivo”.

Fortemente contrario, invece, è stato il parere di Confindustria. Il delegato per l’energia del presidente, Aurelio Regina, ha detto che è stata “una pazzia” l’aver approvato un testo che non prevedesse l’estensione della norma per l’azzeramento degli oneri di sistema anche alle aziende in media tensione: vale a dire, nel concreto, le piccole e medie imprese.

“Non è stata approvata nessuna delle misure a costo zero proposte da Confindustria”, ha aggiunto Regina. “Non ci spieghiamo, poi, come mai non sia stata ascoltata dal Parlamento la nostra istanza di eliminare il differenziale tra le quotazioni del prezzo del gas italiano e quello del Centro-Nord Europa che avrebbe ridotto i costi di circa 1,3 miliardi di euro all’anno, o la nostra proposta per una release di gas e biometano per un valore di circa 600-700 milioni di euro, senza impattare sui conti pubblici o sulle bollette, che avrebbe abbassato il prezzo del gas per tre anni per le imprese italiane e le avrebbe accompagnate nel percorso di decarbonizzazione, come è stato fatto con l’Energy Release che riguarda l’elettricità”.

L’Energy Release, semplificando, è un provvedimento che consiste nella cessione alle aziende di energia elettrica a prezzi calmierati da parte del Gestore dei servizi energetici (Gse); in cambio, queste aziende si impegnano a costruire degli impianti rinnovabili. Il Gas Release, similmente, è uno strumento per la fornitura alle imprese di gas naturale a prezzi regolamentati, più convenienti di quelli di mercato.

CONSUMATORI CONTRO PRODUTTORI

Stando a uno studio di Confindustria, ad aprile il prezzo dell’energia elettrica all’ingrosso in Italia è stato di circa 100 euro al megawattora, molto più alto rispetto alla Germania (77,9 €/MWh), alla Francia (42,2 €/MWh) e alla Spagna (26,8 €/MWh).

Le imprese energivore accusano i produttori di fare soldi sulle loro spalle, a danno dell’apparato manifatturiero nazionale; i produttori energetici, invece, sottolineano che i comparti energivori già ricevono un sussidio pubblico da 2 miliardi di euro all’anno.

COSA FARE, SECONDO REGINA

“Nel 2024 il prezzo all’ingrosso dell’elettricità in Italia è stato dell’84% più alto rispetto alle altre grandi manifatture europee, con un costo extra per le imprese di 6 miliardi. È un tema di competitività che non riguarda solo gli energivori ma tutti”, ha detto Regina a Repubblica.

A suo dire, la priorità è “abbassare i costi dell’energia per le imprese intervenendo sul modo in cui si forma il prezzo”. Propone dunque di “valorizzare maggiormente l’energia da fonti rinnovabili, più economica, ‘togliendola’ dal mercato e riservandola ai consumatori industriali con accordi di lungo periodo”: in gergo si chiamano power purchase agreement, o Ppa.

Repubblica ha scritto che le grandi aziende produttrici di energia, “a cominciare da Enel”, si sono finora opposte a un intervento del genere. Regina ha risposto dicendo che “l’amministratore delegato di Enel, il dottor Cattaneo, ha detto che la società è pronta a lavorare con il governo. Parole che abbiamo apprezzato tantissimo”.

LA PROPOSTA DI GOZZI (FEDERACCIAI) E LA QUESTIONE DEL COSTO MARGINALE

“Disaccoppiamento delle rinnovabili dal marginal price, cessione di una quota delle rinnovabili al Gse, Gas Release, con la materia prima a un prezzo calmierato a fronte di un aumento della produzione nazionale realizzabile con le nuove trivellazioni in Adriatico”: sono le proposte di Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e special advisor di Confindustria con delega all’autonomia strategica europea e alla competitività.

Riferendosi alle tensioni con i produttori energetici all’interno di Confindustria, ha precisato che “rompere non è nell’interesse di nessuno e le proposte di mediazione ci sono. Ma il punto di equilibrio è la salvaguardia del sistema nazionale, non del profitto delle utility”.

Per capire cosa sia il marginal price di cui parla Gozzi è necessario fare un piccolo passo indietro. Semplificando, sul mercato europeo il prezzo dell’elettricità non è determinato dalla fonte utilizzata per generarla, ma dall’ultima centrale ad avere accesso alla rete ogni ora. L’ordine di accesso è basato sul costo marginale: ha la priorità, cioè, l’energia prodotta con i costi marginali più bassi. Gli impianti eolici e fotovoltaici hanno costi marginali praticamente nulli, visto che il vento e il sole – la fonte utilizzata per produrre l’elettricità, cioè – sono gratis; una centrale a gas, invece, ha un costo marginale molto più elevato, dato dal prezzo del combustibile fossile.

Nel concreto, in Europa l’ultima centrale per ordine di accesso alla rete è quasi sempre una centrale a gas, che con la sua produzione stabile è in grado di soddisfare la domanda in qualunque ora. Questo meccanismo fa sì che i produttori di energia rinnovabile – primi per ordine di accesso – abbiano dei margini di guadagni altissimi perché vengono remunerati sulla base del costo marginale di una centrale a gas, nonostante i loro impianti abbiano costi marginali minimi.

SI PUÒ ABOLIRE IL SISTEMA DEL PREZZO MARGINALE?

Non è possibile, per l’Italia, abolire il sistema del prezzo marginale perché una manovra del genere richiederebbe una riforma di tutte le borse dell’Unione europea, che funzionano allo stesso modo. È possibile, però, incoraggiare la firma di power purchase agreement tra i produttori e i compratori di energia elettrica, cioè dei contratti di lungo termine a prezzi fissi e più vantaggiosi.

Rispetto ad altri paesi europei, in Italia il prezzo dell’energia elettrica è più alto perché – si legge in un’analisi di Ref Ricerche – “è determinato per un numero elevato di ore da impianti a gas, e questo, in una fase di quotazioni elevate del gas, comporta prezzi dell’energia più alti. Altri paesi presentano prezzi dell’energia inferiori perché il gas rappresenta la fonte marginale per un minore numero di ore durante la giornata”.

Aumentare la quota delle fonti rinnovabili nel mix di generazione permetterebbe sì di ridimensionare il contributo del gas, ma solo in alcune ore della giornata e non del tutto: i parchi eolici e fotovoltaici sono intermittenti, quindi devono essere affiancati da una capacità “stabile” – come quella a gas, appunto – che vada a compensare i deficit di produzione nei momenti in cui la domanda è alta ma le condizioni meteorologiche sono sfavorevoli. L’idroelettrico è una fonte rinnovabile e pulita che non ha gli stessi problemi di intermittenza. Pulito e stabile, ma non presente nel nostro paese, è anche il nucleare.

L’Italia, inoltre, è uno dei paesi che importa più elettricità al mondo.

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