Skip to content

instagram minori

Instagram e non solo, ecco mosse e lobbying di Meta sul legislatore Ue

Instagram e account per teenager: ora Meta chiede al legislatore comunitario normative che assicurino il controllo dei genitori e intanto ci inonda di numeroni per convincere l'Europa che sarebbe meglio allentare il Dma. 

Nel settembre del 2021 una bomba deflagrava nel cuore di Menlo Park: ad accendere la miccia il Wall Street Journal che, entrato in possesso di studi interni all’azienda creata da Mark Zuckerberg dai risultati tutt’altro che lusinghieri per il mondo dei social, li pubblicava in prima pagina. Quei report indicavano che il gruppo fosse a conoscenza del fatto che Instagram, il social fotografico acquistato da Facebook per un miliardo di dollari nel 2010 e oggi parte rilevantissima nella raccolta pubblicitaria di Meta, avesse effetti molto gravi sulla psiche dei più giovani, in particolare delle adolescenti. Secondo le ricerche, commissionate dalla stessa società di Mark Zuckerberg, una ragazza su tre in possesso di un account Instagram sviluppava disturbi di percezione del proprio corpo e il social veniva accusato di provocare negli utenti più indifesi angoscia e un possibile aumento delle tendenze depressive.

L’INCHIESTA DEL WSJ CHE SCOSSE INSTAGRAM

“Il 32% delle ragazze adolescenti ha affermato che quando si sentiva male per il proprio corpo, Instagram le faceva sentire peggio” si leggeva in una diapositiva dello studio che sarebbe dovuto restare con ogni probabilità top secret. In un’altra era scritto che “Gli adolescenti incolpano Instagram per l’aumento del tasso di ansia e depressione. Questa reazione è stata spontanea e coerente in tutti i gruppi”.

“Fa specie, annotava IlSole24Ore in un articolo dell’epoca, pensare che Facebook fosse perfettamente consapevole dei danni creati da Instagram agli adolescenti, mentre spingeva per un’app dedicata agli under 13. «Da una ricerca che abbiamo visto, emerge che l’utilizzo di app social per connettersi con altre persone può avere benefici positivi per la salute mentale», ha detto Mark Zuckerberg in un’audizione al Congresso nel marzo 2021, quando gli è stato chiesto dei bambini e della salute mentale. Invece, a quanto pare, è l’esatto contrario”.

instagram minori
L’articolo del WSJ che ha rivelato i report top secret

E, ancora: “I documenti mostrano anche che Facebook ha compiuto sforzi minimi per affrontare questi problemi, e li minimizza in pubblico. Probabilmente – ipotizzavano sul quotidiano di Confindustria – perché a Menlo Park sanno benissimo che Instagram è l’app a maggior crescita dell’intero gruppo, e l’espansione della sua base di giovani utenti è vitale per gli oltre 100 miliardi di dollari di entrate annuali dell’azienda. Entrate che non possono essere messe a repentaglio”. Ma è davvero così?

LE MOSSE DI META PER RECUPERARE CREDITO

Di acqua sotto i ponti, ma soprattutto di foto nei nostri reels e nelle nostre stories, da allora ne è passata parecchio e Meta in realtà ha compiuto diversi passi per provare a risolvere la situazione. Non è stata particolarmente rapida se si considera che il sistema di “account per teenager” con protezioni automatiche che limitano chi può contattarli e quali contenuti possono vedere (con i minori di 16 anni obbligati ad avere l’autorizzazione di un genitore per modificare le loro impostazioni in senso meno restrittivo) è arrivato negli Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Australia solo sul far dello scorso autunno, a tre anni esatti dalla pubblicazione del report interno da parte del WSJ. E non è nemmeno dato sapere se tale sistema funzioni. Quel che è certo è che è stato pubblicizzatissimo, ripreso da ogni testata. Nel frattempo, sarebbero già 54 milioni gli account rafforzati in funzione. Ovvero 54 milioni di adolescenti. Un tesoretto di tutto rispetto per chi vive di introiti pubblicitari.

Sebbene non se ne conoscano i reali benefici, l’iniziativa degli account per teenager è rimbalzata su tutti i media

“Sappiamo che i genitori vogliono avere la certezza che i propri figli possano usare i social media per comunicare con i loro amici ed esplorare interessi senza doversi preoccupare di esperienze poco sicure o inappropriate – fa sapere Meta in una nota. Comprendiamo tali preoccupazioni ed è per questo che stiamo ripensando le nostre app rivolte ai teenager con i nuovi account per teenager. La nuova esperienza è progettata per assistere meglio i genitori e tranquillizzarli in merito alla sicurezza dei loro figli, resa possibile grazie alle dovute protezioni.”

ORA DA INSTAGRAM CHIEDONO NORME PIU’ SEVERE?

Insomma, Meta sembra aver cambiato drasticamente approccio al tema della pericolosità dei social sulla psiche dei minori. Lo ribadisce anche il fatto che da qualche giorno e fino al 29 giugno porterà avanti una campagna marketing (con pagine pubblicitarie sui giornali) per chiedere una normativa europea che “preveda la verifica dell’età e l’approvazione dei genitori negli app store, dove le app vengono normalmente scaricate”.

Per la precisione Mark Zuckerberg, che solo agli inizi di quest’anno aveva accusato le leggi europee di frenare l’innovazione, vuole dai 27 del club europeo “Un unico standard per la verifica dell’età e l’approvazione dei genitori negli app store”. In questo modo, spiegano da Instagram, i genitori potranno “svolgere un ruolo più attivo nel proteggere i teenager online, mentre le app possono offrire esperienze adatte alla loro età” e soprattutto verrà tutelata “maggiormente la privacy”.

ZUCKERBERG NON ERA STANCO DELLE NORME EUROPEE?

“Secondo fonti citate dal WSJ” riprese dall’Agi, “Zuckerberg è esasperato dal numero crescente di regolamenti, sentenze e tasse europee e ha detto di voler collaborare con Trump per respingere la “censura istituzionalizzata che rende difficile costruire qualcosa di innovativo”. Nell’ultimo periodo, in effetti, Bruxelles ha comminato al gruppo diverse contravvenzioni.

Lo scorso febbraio, dicono le fonti, “Zuckerberg ha incontrato funzionari statunitensi a Washington e li ha esortati ad affrontare le normative estere che, dice, impediscono la competitività americana. Pochi giorni dopo, Trump ha firmato un ordine esecutivo che minacciava dazi in risposta alle normative tecnologiche “gravose e restrittive” che “inibiscono la crescita o l’operatività prevista” delle aziende statunitensi”.

Di fronte a tutto ciò, sorprende che sia proprio Meta, esasperata dalle norme comunitarie, a chiederne in aggiunta altre, ma è senz’altro un gesto nobile da parte dell’azienda tutelare anzitutto i minori a discapito della propria libertà d’azione. Purché tali norme non costituiscano un comodo viatico per la permanenza di app potenzialmente nocive nelle mani dei giovanissimi dopo aver scaricato tutta la responsabilità sui genitori.

META SUSSURRA AL LEGISLATORE UE

Contemporaneamente, la Big Tech statunitense non ha certo dimenticato la propria crociata contro le norme comunitarie che le stanno strette. E’ di oggi la notizia che Meta ha presentato uno studio sull’impatto economico delle sue soluzioni di pubblicità personalizzata in Unione Europea, con un focus specifico sull’Italia.

“Nel 2024, le piattaforme Meta sono state associate alla generazione di 213 miliardi di euro di attività economica e alla creazione di 1,44 milioni di posti di lavoro in tutta l’UE. Solo in Italia, l’impatto economico ammonta a 26 miliardi di euro, con 176.000 posti di lavoro riconducibili all’attività generata attraverso le nostre piattaforme”, si legge nello studio di Meta sui benefici derivanti da Meta. “Le soluzioni di pubblicità personalizzata offerte da Meta aiutano ogni giorno le imprese, soprattutto le piccole e medie, a raggiungere clienti in modo mirato ed efficiente. Ogni euro investito in annunci Meta produce oggi 3,98 euro di ricavi per gli inserzionisti europei”, prosegue il report.

L’OBIETTIVO E’ ALLENTARE IL DMA

“Tuttavia – fanno presente da Meta – le recenti modifiche al nostro modello pubblicitario in risposta agli obblighi previsti dal Digital Markets Act (DMA) rischiano di compromettere significativamente questi risultati. Rendere più difficile l’utilizzo delle inserzioni personalizzate comporta un impatto negativo per milioni di aziende europee, soprattutto per quelle che operano con budget limitati”.

E, ancora: “Le piccole e medie imprese rappresentano oltre il 99% delle aziende nell’UE. Per loro, l’accesso a strumenti pubblicitari efficienti è fondamentale. Secondo un recente sondaggio, l’80% dei consumatori europei preferisce annunci personalizzati piuttosto che generici, a dimostrazione di un modello che crea valore sia per chi investe che per chi riceve i contenuti”. Insomma, per uno studio i cui risultati sarebbero dovuti restare top secret eccone un altro da sbandierare ai quattro venti. L’Ue si lascerà incantare da simili sirene?

Torna su