Israele, la startup nation, è seconda solo agli Stati Uniti per investimenti in proteine alternative e, dunque, cibo coltivato in laboratorio. Oltre alla ormai nota carne coltivata, di pollo e manzo, Tel Aviv ha da poco ricevuto anche il via libera per la commercializzazione in Canada dei prodotti di Remilk, specializzata in latte e prodotti lattiero-caseari realizzati in laboratorio.
Ma come ha fatto a diventare la Silicon Valley del food-tech e quali sono le ragioni per cui vede un futuro nel settore?
GLI INVESTIMENTI PER IL CIBO COLTIVATO IN ISRAELE
Nel 2022, secondo un rapporto del Good Food Institute Israel (GFI Israel), Israele ha investito in proteine alternative 454 milioni di dollari, ovvero circa il 15% del totale degli investimenti globali, posizionandosi solo dopo gli Stati Uniti.
Il suo secondo posto vale sia per gli investimenti in fermentazione sia per quelli a base vegetale, rispettivamente con 147 milioni di dollari (circa il 18% del totale degli investimenti globali nel settore) e 200 milioni di dollari (circa il 16% del totale degli investimenti globali nel settore).
Tra il 2020 e il 2022, le aziende israeliane dedicate alle proteine alternative – che comprendono carne coltivata, proteine di origine vegetale e proteine basate sulla fermentazione – hanno ottenuto più di un miliardo di dollari da parte degli investitori.
Anche il governo ha fatto la sua parte con un’offerta di 14,6 milioni di dollari di finanziamenti per le infrastrutture di fermentazione, dando particolare attenzione a chi la pratica per le proteine alternative, e un finanziamento per la ricerca di 1,2 milioni di dollari in quanto considerata una priorità nazionale.
La Ong Start-Up Nation Central, tuttavia, segnala un crollo degli investimenti nel settore food-tech da 600 milioni di dollari nella prima metà del 2022 a 200 milioni di dollari nello stesso periodo del 2023. Conferma però che le prospettive rimangono promettenti.
ANCHE LE VENDITE VANNO BENE
Ma il cibo coltivato non piace solo agli investitori. Il rapporto del GFI Israel, i cui dati si riferiscono al 2022, rivela infatti anche che i prodotti a base vegetale continuano a crescere a un ritmo più veloce rispetto ai prodotti animali. Le vendite dei primi sono aumentate dell’8%, contro una crescita dell’1% dei secondi.
Anche le vendite di latte di origine vegetale sono aumentate di circa il 15%, rispetto a un aumento dello 0% del latte di origine animale, e hanno rappresentato circa il 18% delle vendite totali di latte in Israele.
DA DOVE NASCE LA PASSIONE DI ISRAELE PER IL CIBO COLTIVATO
Forse più che di passione si dovrebbe parlare di necessità. “Fin dalla sua creazione, lo Stato di Israele ha dovuto trovare soluzioni a due problemi: la difesa e la produzione agricola in una terra arida”, scrive Le Monde per spiegare la quantità di startup che sono spuntate come funghi negli ultimi anni. Secondo Start-Up Nation Central, Israele contava fino allo scorso agosto più di 250 startup nel campo delle tecnologie alimentari e per The Grocer sarebbero circa 400.
Anche il Time sottolinea che, nonostante il Paese si sia trasformato in una potenza agrotecnica grazie ai progressi nella desalinizzazione dell’acqua, nella costruzione di serre, nell’irrigazione di precisione e nella coltura idroponica, non è ancora autosufficiente dal punto di vista alimentare.
PERCHÉ ISRAELE È UNA (FOOD-TECH) STARTUP NATION
Come spiegato a The Grocer da Noga Sela Shalev, ad dell’incubatore di tecnologie alimentari Fresh Start, in Israele ci sono una serie di vantaggi che spiegano il proliferare delle aziende: dalla cultura imprenditoriale al know-how accumulato nel campo dell’agricoltura, delle biotecnologie e dei dati, oltre che una stretta relazione tra università e industria, che consente il trasferimento tecnologico, e il contributo del governo.
“Il governo israeliano è consapevole che il settore delle proteine alternative è una risorsa strategica per la diplomazia e la sicurezza alimentare nazionale, nonché un motore di crescita economica che genererà decine di migliaia di posti di lavoro e miliardi di entrate fiscali”, ha dichiarato Aviv Oren del GFI Israel.