Il nuovo corso del conservatorismo britannico non può fare dunque a meno di tenere conto dello sviluppo sociale e politico che ha, in parte, generato la Brexit e il terremoto delle elezioni del dicembre 2019. Si ricomincia a parlare di nazionalizzazioni e di intervento dello Stato nel mercato dopo decenni di privatizzazioni e di politiche pro-market. Si ricomincia a parlare di welfare e di investimenti nella sanità, a maggior ragione dopo la crisi del COVID-19, che ha mostrato tutte le falle del Servizio Sanitario Nazionale, NHS.
L’eredità economica thatcheriana viene decostruita, ma alcuni capisaldi delle sue realizzazioni restano, e non sono legate solo alla finanziarizzazione dell’economia. È il caso delle agevolazioni agli inquilini delle case popolari per potere provvedere al loro acquisto (Right to Buy), poi trasformate da Cameron nell’Help to Buy. Johnson ci ha puntato molto in campagna elettorale. Secondo l’Institute for Fiscal Studies le politiche sulla casa e le abitazioni hanno penalizzato le giovani generazioni: solo il 36% dei nati dal 1980 in poi possiede una casa. Un dato che stride rispetto al 62% degli anni Cinquanta e al 60% degli anni Sessanta. Sono sempre più i giovani che affittano appartamenti, il cui costo è aumentato in media del 20% negli ultimi venti anni. Dalla crisi del 2007 a oggi i prezzi delle case sono aumentati in media di sette volte in più rispetto alla media dell’aumento degli stipendi. Durante la loro conference nel 2019 i Tories annunciarono un programma di housing sociale per rendere gli affittuari subito proprietari di una parte dei loro alloggi, per poi successivamente ottenere dei finanziamenti per diventarne home-owners: l’idea di una democrazia Tory di proprietari di case è un ideale che il partito non ha mai abbandonato, anche perché Johnson e i suoi sanno benissimo che i proprietari degli immobili sono più propensi a votare Tory di chi vive in affitto o nelle case popolari.
Lo scivolamento del partito verso i temi che più stanno a cuore alla working class non è sfuggito nemmeno al Partito Laburista e ai think tank affiliati. Così Compass, gruppo di pressione vicino al Labour sulle tematiche dell’uguaglianza, della democrazia e della sostenibilità, ha analizzato il successo dei camaleontici Tories alle ultime elezioni:
L’ultimo cambio di forma dei Conservatori è il più strabiliante nella loro evoluzione degli ultimi venti anni. Il primo cambio avvenne con Cameron e Osborne e la loro modernizzazione neoliberale che cercò di rendere il partito più accettabile socialmente. Questo cambio è svanito a causa dell’impatto dell’austerity e del ritorno del nazionalismo. La seconda evoluzione si è avuta con Theresa May e il suo “nazionalismo soft”, che cercò di bilanciare le varie tendenze del Partito Tory, in seguito al referendum del 2016.
In retrospettiva, il periodo Mayista sembra avere i connotati di un interregno da una forma politica a un’altra più in linea con il riallineamento a destra della politica britannica. Tutti nel panorama politico britannico hanno dimostrato una tendenza a sottovalutare le capacità politiche di Boris Johnson. […] Dato il camaleontismo del personaggio esiste una cosa che è definibile come “johnsonismo”?
A questo punto potrebbe essere utile compiere delle distinzioni tra la politica individuale di Johnson e il nuovo mix di ideologie che hanno riplasmato il Partito Conservatore. Queste includono il Nazionalismo Inglese Brexiteer, il liberalismo anglo-sassone, un keynesianesimo moderato e una strategia di comunicazione che guarda alla destra populista.