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Leonardo Riassetto

Che cosa succederà a Leonardo-Finmeccanica e Fincantieri? L’analisi di Mario Arpino

Manca finora una voce autorevole e credibile che dica – conti alla mano e analisi di mercato sul tavolo - se la fusione Leonardo-Fincantieri, sotto il profilo industriale e della competitività, sia davvero fattibile e conveniente. L'analisi di Mario Arpino, ex Capo di Stato Maggiore della Difesa

 

“Strategia industriale cercasi”, questo è l’annuncio che rischiamo di vedere in neretto sui quotidiani, qualora l’immobilismo che caratterizza il settore dell’industria per la Difesa – unito alle indecisioni e ai ritardi sui programmi – non cominci a cedere il passo a qualche sia pur timido segno di vita. Ora o mai più, visto che dentro e fuori la Pesco (Cooperazione strutturata permanente di 25 tra i 28 paesi Ue) le attività fervono, gli accordi si incrociano, i progetti si moltiplicano, mentre noi rimaniamo distratti osservatori a bordo campo.

Certo, occorrono soldi, ma in Italia parlare di spese per la Difesa è sempre stato un tabù da cui rifuggire. Rischiamo l’emarginazione, anche perché la carenza cronica di fondi è solo uno dei problemi. Poi bisogna sapere cosa ci serve (i militari lo sanno, e nelle audizioni lo dicono), cosa produrre, dove e con chi, come razionalizzarci all’interno, cosa sacrificare e cosa difendere con le unghie e con i denti. Eppure, una presa di coscienza c’è, se, come ci racconta il prof. Gregory Alegi (Luiss) nell’editoriale sull’ultimo numero del mensile Aeronautica, lo slogan che a metà luglio campeggiava a lettere cubitali sul grande schermo dell’assemblea dell’Aiad (associazione industrie aerospaziali per la difesa) era L’ORA DELLE SCELTE STRATEGICHE. Presenti i capi azienda e tutti i massimi decisori nazionali, civili e militari, per parlare di come ”… individuare i settori nei quali competere e concentrarvi le risorse tecnologiche, economiche e politiche”. Ma l’assemblea dell’Aiad è solo un evento episodico. E poi, che succede?

Gli amministratori delegati di Leonardo e Fincantieri, Alessandro Profumo e Giuseppe Bono, presenti in prima fila, da tempo sono attivi (ciascuno in casa sua) sul tema delle ristrutturazioni interne, delle alleanze anche esterne e delle acquisizioni di know-how. Ora c’è da fare un altro passo avanti, e vedere come e se sia possibile creare quelle sinergie che possano portare gradualmente a una dimensione competitiva in Europa e nel mondo. E’ necessario – come ha sottolineato il capo di SMD, generale Vecciarelli – “uscire dalla propria comfort zone e mettersi in gioco per affrontare le sfide”.

Ecco, il tema di creare il “colosso” unificando competenze e strutture di Leonardo (ex Finmeccanica) e Fincantieri è ricorrente. Le sinergie possono essere individuate e ciò che manca può essere acquisito: difficile invece è individuare il superfluo, da dirottare in società satelliti o da alienare, e capire quali siano la dimensione critica e gli skill da incorporare per raggiungere un livello di competitività globale. A ottobre dell’anno scorso (se ne era occupata in più occasioni anche Startmag), all’epoca dell’accordo operativo dei due gruppi nell’ambito della collaborazione in Orizzonte Sistemi Navali), già cominciavano a circolare voci di un’ipotesi di fusione tra i due gruppi. Si prevedeva persino un giro contabile tra Ministero Economia e Finanze (Mef) e Cassa Depositi e Prestiti Cdp) delle quote di partecipazione dello Stato. Lo scopo era ridurre il debito pubblico e, parallelamente, sopire l’ostilità dei francesi e di Bruxelles alla fusione. La banche d’affari si mettevano in moto, ma i dubbi sulla reale efficacia operativa della fusione portavano prima ad un rallentamento, poi alla sospensione dell’operazione.

Sospensione, non cancellazione, tanto che nel gennaio di quest’anno la super informata Dagospia rilanciava l’ipotesi accreditandola questa alla Presidenza del Consiglio, che però smentiva. La ratio era che il rilancio ad Aquisgrana del patto franco-tedesco, che si impernia sopra tutto sul settore della Difesa, obbliga l’Italia ad aumentare sostanzialmente il peso specifico della propria industria, pena una prossima irrilevanza sui mercati.

E’ qui che questo interminabile gioco dell’oca ritorna, ancora una volta, alla casella di partenza. Banche d’affari, ministeri, agenzie di rating, ciascuno a questo punto ha detto la sua, nella propria sfera di competenza. Ed anche oltre. E’mancata, però, una voce autorevole e credibile che dicesse – conti alla mano e analisi di mercato sul tavolo – se l’affaire, sotto il profilo industriale e della competitività, sia davvero fattibile e conveniente.

Questa voce ancora manca, né risulta che uno studio serio sia stato davvero condotto, o anche solo avviato. E’ il caso di suggerire, visti i tempi che corrono, di non attenderci che qualcuno dia una risposta in tempi brevi. Ma il dibattito, nel frattempo, deve continuare.

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