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Vi racconto gli ultimi bizantinismi in Europa con De Guindos e Selmayr

Il commento dell’editorialista Angelo De Mattia Dopo il caso De Guindos, il ministro che sta per passare direttamente dalla titolarità del dicastero spagnolo delle Finanze alla vicepresidenza della Bce, si registra, ora, il caso Selmayr, il tedesco neosegretario generale della Commissione Ue, arrivato a questa posizione, fulmineamente, muovendo da capo gabinetto del presidente Jean-Claude Juncker…

Dopo il caso De Guindos, il ministro che sta per passare direttamente dalla titolarità del dicastero spagnolo delle Finanze alla vicepresidenza della Bce, si registra, ora, il caso Selmayr, il tedesco neosegretario generale della Commissione Ue, arrivato a questa posizione, fulmineamente, muovendo da capo gabinetto del presidente Jean-Claude Juncker e poi approdando a vicesegretario generale, nella posizione giusta per sostituire il titolare della carica che subito dopo si è dimesso: un percorso regolato da una procedura che molti nel Parlamento europeo considerano opaca e sulla quale è stata aperta un’inchiesta.

Ovviamente i due episodi sono nettamente diversi, ma entrambi dimostrano come nell’Unione non si vada tanto per il sottile, passando sopra i potenziali conflitti di interesse e le sostanziali incompatibilità temporali, nel caso De Guindos, o piazzando in posti strategici chi ha dato ampia prova di sostenere la sublimazione del burocratismo e la vicinanza alla Germania. Da altre parti si afferma, però, che la procedura di nomina di Selmayr è stata corretta e si sottolinea l’alto livello di competenza e preparazione del segretario generale. È noto che il ruolo di questa figura, in specie se incarnata da un personaggio capace, è fondamentale; può valere in termini di potere molto di più di quello di un commissario; in sostanza, può arrivare a trattarsi di una sorta di presidente ombra. Vedremo quale sarà il risultato dell’inchiesta che è stata promossa. Sin d’ora, per il solo fatto che insorgano dubbi del genere e si levino aperte contestazioni, si potrebbe concludere che non vi è granché da apprendere dal funzionamento delle istituzioni comunitarie. Quando da Bruxelles vengono inviti a ridurre il peso della burocrazia e a premiare il merito, bisognerebbe rispondere «medice, cura te ipsum». Se è frequente la critica degli atteggiamenti burocratici o formalisti attribuiti a questo o quel commissario, nel caso di specie si sarebbe arrivati alla posizione dominante del burocrate (Selmayr) del burocrate (il commissario). Di questo passo, accadrà che bisognerà rivolgersi a Selmayr per far valere tesi che spesso vengono neglette e che, nonostante i richiami alla sovranità popolare e alla necessità che le istituzioni europee rispondano alle aspettative dei cittadini, molto dipenderà, per le decisioni proposte, da figure burocratiche, allocate a servizio (si fa per dire) dei diversi commissari quale quella del neosegretario generale che le riassume tutte.

Si è certamente consapevoli che un ampio lavoro istruttorio e preparatorio compete a cariche del tipo anzidetto, non potendo i commissari occuparsi di questi compiti insieme con quelli che attengono alla fase decisionale. Ma qui è in questione il superamento di fatto dei confini, dovuto al progressivo estendersi di attribuzioni e di influenze che finiscono con il rendere cruciali determinate cariche. Stando così le cose, diventa difficile, poi, contestare, da parte degli organi della Commissione, gli sconfinamenti de facto che in alcuni casi vengono effettuati, per esempio, dalla Vigilanza unica.
È tradizionale, purtroppo, la scarsa attenzione che i governi italiani hanno rivolto alla ripartizione degli incarichi nelle strutture amministrative della Commissione, che ora vedono, invece, diversi tedeschi piazzati in posizioni chiave. Ciò che si sta verificando, che rappresenta l’ultimo anello di una lunga catena, aprirà finalmente gli occhi al governo che sarà in carica, ammesso che si riesca a costituirlo? O si continuerà a considerare di secondaria importanza posizioni apicali che, invece, importanti sono, eccome?

In queste settimane si riprendono le discussioni sulla riforma dell’Unione, a proposito della quale è stato stabilito di presentare un progetto entro il prossimo mese di giugno. Probabilmente se ne parlerà anche nel vertice dei capi di Stato e di governo del 22 e 23 marzo. Il concreto funzionamento della Commissione e il rapporto tra strutture amministrative, commissari e presidenza finora non è stato mai seriamente affrontato. Le proposte vertono, come noto, sul ruolo dell’Esm, sul ministro unico delle Finanze, sul bilancio integrato, sul controllo dei conti pubblici.

Dovrebbe essere, tuttavia, chiaro che è necessaria una due diligence sul funzionamento delle unità operative e sul tipo di rapporto che si instaura, sotto il profilo decisionale, con i commissari: affrontare i problemi relativi ai rami alti, trascurando quelli riguardanti i rami bassi che, come si vede, così bassi non sono, significa compiere un’operazione elitaria e, per taluni obiettivi, probabilmente illusoria, omettendo di considerare il « cuore» del potere decisionale. Allora, si potrebbe dire che sono da ritenere benvenuti i casi quale quello Selmayr (e De Guindos o, se si vuole, Nouy, la presidente del Supervisory Board della Vigilanza unica) perché segnalano anche a chi dovesse ancora avere dubbi in proposito un campo di indagine da necessariamente promuovere per adottare conseguenti decisioni. Per le elezioni europee del 2019 occorrerebbe avere in proposito idee e proposte chiare. È sperabile che, per parte sua, l’Italia non sia a lungo così impegnata nei tentativi per la formazione del governo da risultare oggettivamente lontana dall’approfondire questo delicatissimo tema.

(analisi pubblicata su Mf/Milano Finanza)

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