La New Development Bank apre i battenti a due settimane dal vertice russo di Ufa dove i direttori delle banche centrali dei paesi Brics si erano accordati per la creazione di una cassa comune con un disponibilità di 50 miliardi di dollari, cifra che raddoppierà nei prossimi anni. Lo scopo della Banca sarà quello di sostenere la crescita dei Brics, garantire la stabilità alle economie emergenti e finanziare i progetti infrastrutturali. I cinque paesi fondatori contribuiscono per il 18% dell’economia mondiale e con quasi tre miliardi ospitano circa il 40% della popolazione mondiale. Come dichiarato dal presidente della Banca, l’indiano Kundapur Vaman Kamath, la New Development Bank potrà iniziare a finanziare i primi progetti a partire dall’aprile dell’anno prossimo, anche se bisognerà attendere qualche anno prima che l’istituto possa operare stabilmente sui mercati e guadagnare la credibilità internazionale.
La New Development Bank non vuole essere rivale delle altre organizzazioni finanziarie internazionali. Lo stesso presidente di NDB Kundapur Vaman Kamath ha dichiarato: «Il nostro obiettivo non è quello di sfidare il sistema esistente in quanto tale ma migliorare e integrare il sistema a modo nostro». Nonostante le premesse inaugurali, il nuovo istituto si fonda sul profondo malcontento dei paesi emergenti. In più di un’occasione i Brics hanno criticato Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale per non aver riservato alle nazioni in via di sviluppo un adeguato diritto di voto, proporzionato all’effettivo peso geo-economico. A chiarire le intenzioni dei Brics ci ha pensato il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov secondo il quale è necessario il raggiungimento di «un nuovo sistema policentrico delle relazioni internazionali». Potenzialmente aperta all’ingresso di nuovi membri, la nuova Banca rappresenta in realtà un’alternativa all’attuale assetto economico mondiale, facendo dei Brics – i quali si riserverebbero comunque una quota di controllo non inferiore al 55% – un potenziale contraltare all’egemonia americana.
Con l’apertura a Shanghai della New Development Bank si apre una fase di riequilibrio dei poteri, sancendo definitivamente il ruolo alternativo di Pechino rispetto a Washington. Anche se i due polmoni politici dell’iniziativa sono rappresentati da Mosca e Pechino, a dare il contributo più forte alla NDB è la seconda economia al mondo con un finanziamento 41 miliardi su 100, la Cina. Pechino ha lavorato nel corso dell’ultimo decennio ad accrescere la propria influenza, il così detto “Beijing Consensus”, facendo ricorso a pratiche di soft power (come la concessione di prestiti a paesi in via di sviluppo in cambio di investimenti in infrastrutture o attraverso la gestione di risorse minerarie). La nuova Banca risponde alle stesse esigenze geopolitiche e andrebbe a sommarsi alla Asian Infrastructure Development Bank, altra banca internazionale con sede a Pechino rivolta principalmente agli investimenti infrastrutturali nel continente asiatico. La Russia d’altro canto estromessa dal ballo del G8, alle prese con l’instabilità del rublo, il calo del prezzo del petrolio e colpita dalle sanzioni internazionali, tornerebbe grazie alla NDB ad operare con maggior respiro. Anche se permangono ancora dei dubbi sulla sostenibilità nel lungo periodo della New Development Bank bisogna tuttavia tener presente che i paesi che hanno deciso di fondarla hanno contribuito negli ultimi dieci anni a più della metà della crescita del pil mondiale.