In un report Western Union avverte: industria del Fintech minacciata dal protezionismo americano e dalla Brexit. Ma il nuovo capo dell’Eliseo può dare una mano
Il Fintech ha due problemi in questo momento. Donald Trump e la Brexit. Il primo tacciato di protezionismo spicciolo, il che in un’economia globale come quella tecnofinanziaria è visto come cfumo negli occhi. La seconda, rea di aumentare la tensione tra le Fintech inglesi, impaurite di rimanere tagliate fuori dai mercati. Le cose stanno davvero così?
L’allarme di Western Union
L’allarme è arrivato da chi di innovazione se ne intende. Western Union, uno dei big mondiali della comunicazione e del trasferimento di denaro. Che in un recente report ha detto sostanzialmente due cose. Il neo-protezionismo trumpiano sta seriamente preoccupando l’industria del Fintech, che vede una limitazione del proprio spazio di manovra, dentro e fuori i confini americani. “Penso”, ha spiegato Christina Hamilton, dirigente di Western Union e curatrice del report, “che il flusso di denaro e di persone sia una cosa fantastica e penso che il percorso più veloce alla crescita economica e allo stimolo sia in realtà quando sia il denaro che le persone si muovono oltre le frontiere e in modo libero”. E la Brexit?
Tra Trump e la Brexit
Dall’altra parte dell’Atlantico, non è la prima volta che lo spauracchio della Brexit mette in subbuglio l’industria del Fintech (qui lo speciale di Start Mag sul tema). Però se si continua così, secondo gli esperti di Western Union, si rischia di arrestare la crescita di un fenomeno in piena espansione. Il problema è che l’uscita del Regno Unito dal perimetro europeo rischia di far pagare parecchi soldi alle Fintech che vogliono esportare il proprio business. “Ho una certa preoccupazione per l’industria di fintech”, ha spiegato Hamilton. “In Gran Bretagna lo scorso anno gli investimenti nel Fintech sono diminuiti del 33% mentre nel resto del mondo sono aumentati del 10%: è chiaro che già nel Regno Unito c’è stato un impatto, e questo è qualcosa che dobbiamo guardare con molta attenzione”.
Fintech a prova di Brexit
In effetti, a guardare i numeri, molte startup stanno mettendo in discussione la loro permanenza in Gran Bretagna, pronte a innescare un esodo della tecnofinanza. Di recente il Telegraph, ha fatto sapere come nei primi mesi dell’anno sia in atto un vero e proprio crollo del settore Fintech Uk, che su base annua potrebbe raggiungere a fine 2017 il -28%. Il ruolo centrale, nemmeno a dirlo, è giocato ovviamente dall’instabilità che caratterizza al momento il futuro del Regno Unito senza la spalla dell’Unione Europea. Si teme una fuga dei capitali dal mercato tecnologico: il rischio è che il posto di Londra venga preso da piazze altrettanto invitanti come Berlino, Parigi, Lisbona o anche Amsterdam. Lo ha capito persino esponente di spicco dei conservatori e braccio destro dell’ex premier David Cameron, George Osborne, che ha intravisto dietro l’angolo la crisi dell’industria del Fintech. “Noi non possiamo dormire sugli allori, dobbiamo costantemente rimanere il miglior posto al mondo per avviare e far crescere il business della tecnologia: possiamo restare il numero uno del Fintech”.
La speranza Macron
Le Fintech a quanto sembra ripongono molta fiducia nel nuovo presidente francese Emmnuel Macron, capace a detta della Hamilton di garantire quella moderazione necessaria tra Trump e la Brexit. Il neo capo dell’Eliseo esercita dunque un certo fascino nella tecnofinanza. E non è un caso se, come ricordato giorni fa dal New York Times, tra i primi atti di Macron ci sia la creazione di un fondo per l’innovazione da 10 miliardi.