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Foodora

Foodora e i conflitti sociali del lavoro digitale. Servono nuove regole

Il digitale e la crisi hanno cambiato il rapporto di lavoro tra dipendente e titolare, servono nuove regole. E lo sciopero dei lavoratori di Foodora lo testimonia I (non) dipendenti di Foodora, startup italiana che si occupa della consegna di cibo direttamente a casa, sono in sciopero: chiedono un aumento della retribuzione, che ora è…

Il digitale e la crisi hanno cambiato il rapporto di lavoro tra dipendente e titolare, servono nuove regole. E lo sciopero dei lavoratori di Foodora lo testimonia

I (non) dipendenti di Foodora, startup italiana che si occupa della consegna di cibo direttamente a casa, sono in sciopero: chiedono un aumento della retribuzione, che ora è pari a poco più di 2 euro per consegna, ben al di sotto degli standard di retribuzione nazionali e soprattutto internazionali. Ad agosto anche i fattorini londinesi di Deliveroo hanno protestato. E a settembre hanno protestato quelli parigini, sperando in un maggiore potere contrattuale. Normali (e nuovi) conflitti sociali di lavoro.

Foodora e Deliveroo: i figli della gig Economy

Foodora e Deliveroo sono alcuni dei soggetti della cosiddetta gig economy, ovvero di un modello economico sempre più diffuso dove non esistono più le prestazioni lavorative continuative, ma si lavora a prestazione.

La gig economy non deve esser confusa con la Sharing economy. L‘economia condivisa, infatti, non crea nuovi lavoratori, ma prova a far fruttare economicamente un bene o un servizio. Per capire quanto stiamo dicendo, basta guardare a Airbnb: si affitta una stanza della propria casa in cambio di una ricompensa in denaro. Nel caso di Foodora, invece, c’è qualcuno che ha bisogno di un pasto direttamente a casa e a consegnarlo ci pensa un’azienda che, tramite un algoritmo, organizza una forza lavoro.

Foodora crea lavoratori, ma non dipendenti

foodoraProprio come Deliveroo, anche Foodora e tutti gli attori della gig economy creano dei lavoratri a tutti gli effetti, ma non dei dipendenti. Le persone offrono una loro prestazione professionale in cambio di denaro, ma non vi è alcun contratto, i lavoratori non vengono assunti, né selezionati da nessuno. Ci pensa un algortimo a gestire il tutto e non ci sono leggi che possano regolare questo nuovo tipo di lavoro.

Servono nuove regole

Il mondo cambia velocemente, la tecnologia invade la nostra vita e la trasforma. Con il tempo ha trasformato anche il modo di cercare e trovare lavoro.

Chi si affida a piattaforme come Foodora non lo fa per hobby, ma per lavorare realmente. E a dirla tutta, anche gli attori della gig economy richiedono un vero lavoratore: le prestazioni, anche se saltuarie, obbligano il non dipendente al rispetto della professionalità e alla responsabilità.

Proprio come tutti i lavori saltuari che i nostri tempi ci propongono, dal cameriere al facchino, anche quelli proposti dalle piattaforme di gig economy sono solo un parte di un processo che sta portando alla frammentazione del lavoro stesso. Visti i cambiamenti, portati dalla crisi (in pochi assumono con contratto stabile sapendo di andare incontro a periodi di scarso lavoro) e dal digitale, con la nascita di piattaforme come Foodora, servirebbero nuove regole e nuove norme, che tutelino coloro che offrono la loro prestazione.

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