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Record di export per l’Italia, ma è davvero tutto così roseo?

Il commento di Marcello Inghilesi  Si è parlato molto in questi giorni di aumento del record delle esportazioni italiane, traino per lo sviluppo. Proviamo a capirne di più. L’export è cresciuto tra il 2016 e il 2017 di 31 miliardi di euro, da 417 a 448 (+7,4 %). Un buon risultato dovuto soprattutto a macchinari,…

Si è parlato molto in questi giorni di aumento del record delle esportazioni italiane, traino per lo sviluppo. Proviamo a capirne di più. L’export è cresciuto tra il 2016 e il 2017 di 31 miliardi di euro, da 417 a 448 (+7,4 %). Un buon risultato dovuto soprattutto a macchinari, medicinali, abbigliamento e pelletterie varie.

La cosa curiosa tuttavia è che normalmente per capire i trend del commercio estero si valutano assieme i valori di importazioni ed esportazioni; in questo periodo si è invece parlato solo delle seconde (come se in un’azienda, che vive di costi e ricavi, si parli solo di aumento del fatturato per dire che le cose vanno bene). In effetti a fronte di un aumento del 7,4 % dell’export, si è anche registrato un boom dell’import, da 367 a 401 miliardi di euro (+9%), con un saldo, in diminuzione, di 3 miliardi circa (da 50 a 47 miliardi).

L’Italia è un Paese manifatturiero, povero di risorse, che basa la sua economia produttiva sulla trasformazione di materie che il più delle volte vengono dall’estero. Potrebbe così, per esempio, avere un senso vedere l’andamento del rapporto tra importazioni ed esportazioni e non solo una delle due voci: fatto 100 il valore delle importazioni, abbiamo esportato 94 nel 1990, 106 nel 2000, 91 nel 2010, 112 nel 2017; cioè cifre attorno al 100 nel lungo periodo. E per capire meglio come stia andando il commercio estero del Paese, dovremmo anche analizzare i dati depurandoli dal grande deficit energetico, strutturale in Italia.

Potremmo fare meglio? Potrebbero la politica, il Parlamento e il Governo incidere per un rafforzamento stabile delle esportazioni sulle importazioni? Probabilmente sì, rinunciando a principi di moda come la “mondializzazione” sostenuta dalla finanza più che dall’economia – come un destino ineluttabile dell’umanità (sebbene quasi tutta questa “umanità” non sia affatto mondializzata) – o la lotta all’intervento dello Stato sull’economia del proprio Paese.

Particolarmente complesso sarebbe affrontare nello specifico la bilancia commerciale italiana. Qui vale la pena solo segnalare i dati più macroscopici del deficit commerciale, per merceologia e per aree geografiche. Gli autoveicoli sono la prima voce delle nostre importazioni (32 miliardi circa) e la seconda delle nostre esportazioni (23 miliardi circa), con un deficit commerciale di 9 miliardi circa. Siamo altresì deficitari, tra l’altro, nel settore della chimica (10 miliardi), dei metalli (7 miliardi) e della siderurgia (10 miliardi circa); per non dire dei 21 miliardi del petrolio.

Abbiamo disavanzi commerciali, tra l’altro, con la Germania (8 miliardi circa) e l’Olanda (11 miliardi circa, dato che dovrebbe essere approfondito, poiché potrebbe contenere più attività di trading che di produzione) e poi con Cina (15 miliardi circa), India (1 miliardo), Russia (3 miliardi). Si è parlato dei deficit e non dei surplus, per evidenziare solo alcuni dei problemi più attuali della nostra bilancia commerciale, al di là dei buoni risultati delle nostre esportazioni.

In conclusione: si potranno rivedere le regole e le ragioni degli scambi commerciali tra i Paesi? O tutto sarà lasciato al destino del libero mercato? La politica economica degli Stati nel commercio internazionale potrà ancora esistere o è solo una vecchia strumentazione da “rottamare”?

Fonte: elaborazioni Osservatorio Economico Ministero Sviluppo Economico su dati Istat

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