Nel clima elettorale la crescita del pil, nel 2017, dell’1,4% (con il dato definitivo che sarà reso noto tre giorni prima del voto) inevitabilmente provoca interventi di quasi ottimismo, da una parte, perché si può dire che «eppur si muove», attribuendone il merito alle riforme, e rilievi pessimistici, dall’altra, guardando, in questo caso all’ultimo posto che l’Italia continua a mantenere in Europa, al divario del 5,7% rispetto al pil pre-crisi del 2008, e alla distanza rispetto alla crescita del pil, su base annua rispettivamente del 2,7 e del 2,6%, dell’Eurozona e dell’Unione; del resto, le previsioni del Governo erano leggermente superiori, attestandosi a una crescita dell’1,5%. Si può dire che, pur nell’incremento segnato, non si è sconfitto quello che Antonio Fazio ha denominato come «bradisismo economico» il quale segnala la perdita di terreno nella crescita, nella produttività e in altri fondamentali indicatori economici rispetto alla media dell’Unione e, più in particolare, alla Germania.
Certo, la crescita anzidetta indica che potrebbe iniziare una fase più dinamica da verificare nei prossimi mesi, che
Intanto, a non molta distanza dai risultati elettorali, si potrà porre il problema di una manovra di finanza pubblica correttiva, stando a quanto fu preannunciato nello scorso autunno dalla Commissione Ue che si riservò una valutazione definitiva per questa primavera con riferimento alla riduzione, decisa dal governo per l’anno in corso, soltanto dello 0,3% del deficit strutturale a fronte dello 0,6 richiesto da Bruxelles. Una valutazione severa da parte della Commissione, che tenesse conto anche del maggiore incremento della spesa, potrebbe portare a una dichiarazione di deviazione dagli obiettivi di bilancio e aprire all’eventualità di una procedura di infrazione, a meno che non si vari una manovra correttiva. Il Ministero dell’economia ha, per ora escluso, che potrà rendersi necessaria una tale manovra. Siamo, comunque, abituati, nella storia dei governi, ad ascoltare impegni di tale portata, ai quali spesso sono, però, seguite inversioni a U. Una prova di concretezza che attenui la forzatura sui contenuti dei programmi elettorali esageratamente magnifici e progressivi sarebbe data dai partiti in competizione se dichiarassero sin d’ora la linea che sosterranno – qualora 
L’elettore ha il diritto di sapere cosa ora debba attendersi, per quel che riguarda le scelte di finanza pubblica che si potrebbero adottare sin dalle settimane immediatamente successive al voto. Alcuni osservatori hanno rilevato (in particolare, Francesco Giavazzi sul Corriere della sera) che in questa fase della campagna elettorale è scomparsa dal dibattito pubblico una serie di temi riguardanti l’Unione, affrontati in maniera radicale, lasciando il dubbio che ciò sia dovuto al fatto che il duro contrasto con le scelte europee non porti voti o che, invece, ci si sia convinti dell’accettabilità delle regole comunitarie (in specie, del Fiscal compact). È difficile, tuttavia, apprezzare questo silenzio perché è necessario che coloro i quali sono chiamati al voto sappiano qual è il programma sull’Europa dei partiti in contesa. Basti osservare la parte del programma della Grosse Koalition in Germania dedicata dettagliatamente alla posizione sull’Unione e sull’Eurozona. Dunque, si cominci dall’eventualità di una manovra correttiva per rendere pubblico ciò che ogni formazione politica riterrà di fare.







