Il 9 giugno 2017 possiamo definirlo il venerdì nero dei titoli tech: le quotazione dei colossi sono precipitate, perdendo fino al 4,5%. Il settore rivive quanto accaduto nel 2000?
Da regine dei listini, da titoli trainanti e colossi del web a motivo di instabilità finanziaria. Parliamo dei titoli Tech e di quelli di Facebook, Apple, Amazon, Microsoft e Google (la cosidetta società “Faamg”): se negli ultimi sei mesi hanno totalizzato il 37% dei guadagni dell’indice S&P500, da venerdì 9 giugno hanno iniziato un declino che non fa presagire nulla di buono. Che stia per esplodere un’altra bolla tech, come avvenuto nel 2000? Approfondiamo insieme.
La corsa dei titoli tech

Cosa è accaduto venerdì 9 giugno
Il crollo. Il 9 giugno 2017 possiamo definirlo il venerdì nero dei titoli tech: le quotazione dei colossi sono precipitate, perdendo fino al 4,5% (-6,5% per Netflix) e chiudendo con rossi superiori al 3%.
Ad andare peggio è stata Amazon, che vittima pure di un “flash crash”, ha perso fino all’8%, salvo poi rimbalzare.
Una corsa eccessiva?
Forse dovevamo aspettarcelo. Insomma, i titoli hanno registrato un successo davvero eccessivo. Ma non è questo certo il motivo principale: ma secondo alcuni analisti a causare il crollo delle quotazioni dei titoli tech potrebbero essere stati dei i report firmati da grandi banche d’affari americane.
Goldman Sachs, tra le altre, ha evidenziato come Amazon stia viaggiando a un rapporto prezzo-utili di 89 contro una media di 58 ai tempi dei picchi della bolla tecnologica di fine millennio, con i ritorni sul capitale al 10% contro il 16% del 2000. Che il settore possa rivivere già quanto vissuto 17 anni fa?

Come il 2000?
Ricordiamo allora quanto accaduto nel 2000. Tutto, ovviamente, inizia qualche anno prima. Tra il 1995 e il 2000, i titoli tech legati al mondo del web corrono veloci, troppo. La bolla esplode nei primi tre mesi del 2000, quando le quotazioni dei titoli del settore crollarono di oltre il 90% e parecchie società fallirono miseramente: le quotazioni scesero lentamente ma in modo inesorabile.
A pagare il prezzo più alto, ovviamente, gli investitori, che hanno continuato a puntare denaro su quelle che erano state definite aziende promettenti (Dot-com è il nome utilizzato per identificare quelle aziende, nate a seguito del notevole surplus di fondi generati dalle venture capital). Le quotazioni, allora, non si basavano più solo sui profitti generati, ma sul potenziale della società. I numeri crescevano rapidamente, ma ai buoni propositi per il futuro non sempre corrispondeva un utile vero.
Numerose Dot-com fallirono generando una vera e propria recessione della New Economy.
Una storia che si ripete? “È difficile dire se questa inversione possa essere considerata l’avvio di qualcosa di strutturale o semplicemente una correzione naturale”, ha affermato a Reuters Alessandro Balsotti, capo dell’Asset Management di JCI Capital.
Il crollo delle Borse Europee








