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Perché la Cina dice ciao a Blackstone

L’articolo di Andrea Pira, giornalista di Mf/Milano Finanza Tutto si gioca sulle date. Perché visti gli sviluppi nelle relazioni tra Washington e Pechino, la decisione del fondo sovrano cinese di cedere dopo 11 anni la quota detenuta in Blackstone, può essere letta come conseguente reazione ai dazi di Trump. Come emerge da un documento depositato…

Tutto si gioca sulle date. Perché visti gli sviluppi nelle relazioni tra Washington e Pechino, la decisione del fondo sovrano cinese di cedere dopo 11 anni la quota detenuta in Blackstone, può essere letta come conseguente reazione ai dazi di Trump. Come emerge da un documento depositato dal fondo statunitense guidato da Stephen Schwarzman, il disimpegno della Beijing Wonderful Investment, lo strumento utilizzato dalla China Investment Corporation per l’investimento, risale al 16 febbraio.

Nel 2007 il braccio finanziario del governo cinese aveva acquistato per 3 miliardi di dollari il 9% di Blackstone, salendo l’anno seguente al 12,5%. Alla fine del 2017, secondo quanto rivelato da Reuters, la quota si sarebbe però ridotta al 4,5%. Ed è stata sempre l’agenzia di stampa britannica a sottolineare che Cic mantiene legami con Blackstone investendo in alcuni fondi della società. Undici anni fa l’operazione rappresentò un evento significativo nell’ambito delle relazioni sino-statunitesi e per lo stesso fondo sovrano, che oggi vanta quote societarie per oltre 800 miliardi ma all’epoca si stava affacciando sulla scena finanziaria globale.

Ora, però, la decisione non sembra direttamente legata allo spettro di una guerra commerciale tra le due più grandi economie del mondo, che potrebbe essere scatenata dalle tariffe imposte su acciaio e alluminio in modo da colpire soprattutto proprio la Repubblica Popolare. Che non si tratti di una forma di ritorsione è quanto si cerca di trasmettere per via non ufficiali. Commenti che trapelano dal fondo sovrano cinese sottolineano infatti come il disimpegno sia stato graduale e sia avvenuto prima delle ultime mosse di Trump. Appena una settimana fa, parlando a margine dei lavori dell’Assemblea Nazionale del Popolo, il vicepresidente di Cic, Tu Guangshao, aveva rimarcato l’interesse nella manifattura avanzata a stelle e strisce. A gennaio era stato invece il presidente Ding Xuedong a mostrare interesse per le infrastrutture Usa.

Ma a intaccare i rapporti non ci sono soltanto i dazi; pesano anche i no dell’amministrazione statunitense a investimenti cinesi, come quelli previsti da Ant Financial in Moneygram e da Huawei nelle gare per il 5G negli Usa.

(articolo di Mf/Milano Finanza)

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