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Recovery Plan

Che cosa nascondono le parole di Draghi su Qe e tassi

L’approfondimento di Marcello Bussi, giornalista di Mf/Milano Finanza Tutto come prima, a parte una frasetta sparita dal comunicato della Bce, il cui consiglio direttivo si è riunito in settimana a Francoforte per decidere sulla politca monetaria, lasciando i tassi d’interesse a zero: non c’è più l’intenzione di aumentare gli acquisti di bond, attualmente pari a…

Tutto come prima, a parte una frasetta sparita dal comunicato della Bce, il cui consiglio direttivo si è riunito in settimana a Francoforte per decidere sulla politca monetaria, lasciando i tassi d’interesse a zero: non c’è più l’intenzione di aumentare gli acquisti di bond, attualmente pari a 30 miliardi di euro al mese, nel caso in cui fosse necessario, ovvero se le cose andassero peggio del previsto. Resta però in piedi l’opzione di prolungare il Quantitative easing oltre settembre, se ce ne fosse bisogno. Il presidente della Bce Mario Draghi ha inoltre ribadito di aspettarsi che «i tassi d’interesse rimarranno sui livelli attuali per un lungo periodo di tempo, ben oltre l’orizzonte del nostro programma» di allentamento quantitativo (Qe).

Secondo Fabio Balboni e Simon Wells, economisti di Hsbc, l’eliminazione della frase relativa al possibile incremento degli acquisti di asset è un cambiamento «perlopiù cosmetico», perché «il mercato ormai non si aspettava alcun aumento del ritmo del Qe da qui a settembre». I due economisti hanno puntualizzato che la cancellazione di tale riferimento è avvenuta in risposta alle critiche sollevate da alcuni membri del consiglio che recentemente avevano sottolineato l’incongruenza tra la forward guidance dell’Istituto di Francoforte e la forza della ripresa nell’Eurozona, fattore che avrebbe potuto minare la credibilità della Bce.

Insomma, Draghi non si è assolutamente trasformato in un falco, anzi. E i mercati lo hanno capito subito, visto che le borse europee sono tutte salite nel corso della conferenza stampa: Piazza Affari ha chiuso in rialzo dell’1,1%, Parigi dell’1,3%, Francoforte dello 0,9%. Mentre il rendimento del Btp decennale ha archiviato la seduta in calo di 7 punti base all’1,9% e lo spread si è ristretto a 135 punti base dai 139 della vigilia. L’euro, che in un primo momento era salito fino a 1,2446 dollari, è tornato sotto quota 1,24 scendendo fino a 1,2308.

Draghi era poi atteso al varco sulla svolta protezionistica di Donald Trump, cioè sugli aumenti dei dazi Usa sull’acciaio e sull’alluminio. Al riguardo, il numero uno della Bce ha detto seccamente che «decisioni unilaterali» sulle barriere al commercio «sono pericolose», aggiungendo però che «la ricaduta immediata delle misure Usa sul commercio non sarà poi così grande», anche se «preoccupa lo stato delle relazioni» internazionali. «Se metti tariffe contro i tuoi alleati, ci si chiede: chi sono i tuoi nemici?», ha tuonato Draghi, che considera il «protezionismo in aumento», il cambio dell’euro e la deregulation finanziaria i pericoli più grossi per l’Eurozona.

DOSSIER ITALIA

Sul rischio Italia, dopo un voto che ha visto prevalere le forze anti-sistema senza prefigurare una maggioranza certa, Draghi si è espresso con cautela. «Una protratta instabilità può minare la fiducia e ciò può avere effetti negativi», ha avvertito. Ma ha anche fatto notare che «i mercati non hanno reagito in maniera eccessiva». Certo, ha aggiunto, la sostenibilità dei conti resta «la preoccupazione principale per i Paesi ad alto debito». Ma a chi paventa il rischio di una svolta antieuropea ha replicato che «l’euro è irreversibile» e «resta una priorità». Un ultimo commento, Draghi lo ha riservato a se stesso e al suo successore. Non c’è alcuna fretta di sceglierlo, ha osservato: «Mi rimane ancora tempo».

LE PROIEZIONI

Tornando alla politica monetaria, Draghi ha annunciato che le proiezioni macroeconomiche di marzo 2018 dei funzionari della Bce prevedono un tasso di inflazione annuale all’1,4% nel 2018, all’1,4% nel 2019 e all’1,7% nel 2020. Rispetto alle proiezioni di dicembre 2017 dello staff dell’Eurosistema, l’outlook per l’indice dei prezzi al consumo è stato rivisto leggermente al ribasso per il 2019», rispetto all’1,5% stimato in precedenza, «mentre rimane invariato per il 2018 e il 2020». Insomma, le stime lasciano aperta la porta al prolungamento del Qe oltre settembre, visto che l’1,4% del 2019 resta lontanissimo dall’obiettivo di un’inflazione di poco inferiore al 2%.

IL COMMENTO DI DRAGHI

«Sull’inflazione ancora non si può dichiarare vittoria», ha infatti commentato Draghi, sottolineando che «l’inflazione sottostante resta debole e deve ancora mostrare segnali convincenti di una sostenuta tendenza verso l’alto». Per questo è «ancora necessario un ampio grado di stimolo monetario per consentire alle pressioni sull’inflazione sottostante di continuare a rafforzarsi». La Bce è comunque diventata più ottimista sulla crescita dell’Eurozona e stima che quest’anno il pil registrerà un aumento del 2,4%, superiore al 2,3% previsto dalla stessa Eurotower a dicembre. Restano invece invariate rispettivamente all’1,9% e all’1,7% le stime per il 2019 e il 2020.

IL REPORT DI BOFA

BofA-Merrill Lynch in un report intitolato” Due passi avanti, 1,9 passi indietro” (chiaro riferimento al target di inflazione) ha spiegato che come da attese la Bce ha eliminato dal comunicato la frase relativa all’eventuale incremento del Qe in termini di entità qualora l’outlook dovesse peggiorare. Tuttavia, dopo questa mossa da falco l’istituto di Francoforte si è trasformato in colomba abbassando le previsioni sull’inflazione del 2019. Secondo Daniele Antonucci e Joao Almeida, economisti di Morgan Stanley, «il prossimo passo della Bce, forse a giugno, è fissare la data finale del Qe», mentre Barclays continua ad aspettarsi la fine del Qe nel mese di settembre e un aumento dei tassi di 20 punti base a dicembre.

(articolo tratto da Mf/Milano Finanza)

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