Ieri alla Fondazione Luigi Einaudi il Ministro Difesa Guido Crosetto ha annunciato di aver chiesto al Generale Luciano Portolano, Capo di Stato Maggiore della Difesa un “quadro reale delle minacce e dello stato della nostra difesa” allo scopo di sottoporre il documento all’attenzione dei leader politici di tutti i partiti.
Professor Mayer, le sembra una notizia importante?
Si, perché può aumentare non solo la percezione dei pericoli, ma anche spingere ad una convergenza politica delle misure prioritarie da assumere in ambito Difesa. Il materiale sarà utile anche per ribadire le forti preoccupazioni di natura geopolitica già espresse nitidamente dalla relazione annuale redatta dal DIS.
Da un’indagine presentata nel corso dello stesso convegno da Alessandra Ghisleri è emerso che nell’opinione pubblica italiana non c’è sufficiente consapevolezza (soprattutto negli elettori dei 5 Stelle e della Lega) dei gravi pericoli che possono derivare dalla fase di grave turbolenza della politica internazionale in cui stiamo vivendo. Cosa si può fare?
Mentre le vulnerabilità della nostra Difesa saranno – per ovvi motivi – oggetto di incontri riservati del Ministro Crosetto con i vertici delle forze politiche la valutazione dettagliata delle minacce dovrebbe essere, a mio avviso, condivisa nel modo più ampio con i cittadini. A differenza di numerosi altri partner europei (come ad esempio la Svezia e la Germania) in Italia il mondo politico, ma anche il mondo dell’ informazione non affrontano volentieri il tema difesa, tema “impopolare” per riprendere la definizione utilizzata da Enrico Mentana nel suo intervento.
Qual è la reale consistenza delle minacce?
A mio avviso nella politica italiana e nell’universo mediatico manca una descrizione sistematica dei comportamenti di tre attori politici importanti. Mi riferisco a Russia, Cina e Iran. Sono regimi che nell’ultimo decennio hanno accentuato notevolmente i propri caratteri autoritari in politica interna e la loro postura aggressiva in politica estera. Questo non facilita il lavoro investigativo dei giornalisti, ma si potrebbe fare di più.
Può fare qualche esempio?
La prima cosa che mi viene in mente è dopo il 7 ottobre: questi tre paesi hanno legittimato le attività di Hamas invitando ufficialmente e più volte i loro leader a Mosca, Teheran e Pechino su iniziativa dei rispettivi ministeri degli Esteri. I viaggi di queste delegazioni hanno avuto pochissimo spazio sulla stampa italiana, mentre il supporto e la legittimazione internazionale è fondamentale non solo per Hamas, ma anche per Hezbollah, Houthi e per i gruppi fondamentalisti che operano in Iraq.
E per quanto riguarda l’Europa?
All’interno dell’Unione Europea preoccupa molto la doppia dipendenza dell’Ungheria, da un lato dalla Russia (energia, nucleare compreso) e dall’altro ambito digitale e telecomunicazioni dalla Cina. Ma ancora di più il ruolo di supporto (diretto o indiretto) della Cina all’Iran come dimostrata un articolo del Wall Street Journal di qualche giorno fa. E più in generale il supporto indiretto del Dragone all’invasione russa in Ucraina.
Su questo piano cosa accade nel continente africano?
Il ministro Crosetto ha messo in guardia rispetto all’approccio anti europeo della Russia e della Cina in numerosi paesi africani sia in termini di azioni di influenza (disinformazione e false narrative) sia di penetrazione economica e di consistente presenza militare. Per quanto ci riguarda più direttamente, segnalo la presenza militare russa in Cirenaica che secondo alcune fonti sarebbe in crescita. Sulla potenza e sui pericoli della disinformazione russa ha insistito molto anche Mattia Feltri.
Nel convegno della Fondazione Einaudi il professor Alberto Pagani, già membro dell’assemblea parlamentare della Nato, ha preparato un paper sull’industria della difesa. Quali sono i punti a suo avviso più importanti?
Cito tre aspetti. L’importanza della prevenzione, il carattere duale (civile e militare) dei processi di innovazione tecnologica, l’importanza della deterrenza e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica su questo tema cruciale.
Quali passi successivi si possono immaginare?
In Cina nell’ultimo quinquennio 2020-2025 il budget militare ha avuto un costante aumento di circa il 7% su basi annue. In Russia dal 2022 al 2025 è passato dal 22% al 39% della spesa statale. L’aumento della spesa militare in Russia e Cina è impressionante, ma quasi nessuno ne parla.
Prima di discutere su come reagire a questo tipo di minacce internazionali è a mio avviso è fondamentale che l’opinione pubblica guardi a Russia, Iran e Cina come fonti potenziali di pericoli gravi che l’Italia non può permettersi di sottovalutare.
Una volta condivise queste preoccupazioni, ci sono diverse aree di cooperazione che si possono mantenere o sviluppare con questi paesi, l’importante è agire con consapevolezza dei rischi e con un minimo di cautela. Se le migliori aziende viniviticole del Chianti esportano le loro bottiglie in Cina va benissimo. Ma è difficilmente accettabile che ci si mobiliti contro il “riarmo “ della UE senza dire una parola o peggio ancora senza sapere del rapido aumento della spesa militare in Russia e Cina.
Come si collocano in questo contesto gli Stati Uniti di Trump?
C’è una nuova incognita che si sta affacciando all’orizzonte e su cui nel convegno della Fondazione Einaudi si è soffermato il Presidente del Copasir, Lorenzo Guerini. Per la prima volta dalla prima guerra mondiale non sappiamo se gli Stati Uniti rispetteranno o meno l’articolo 5 della NATO. Anche per questo, di fronte alle crescenti minacce esterne e all’inedita incertezza sui comportamenti di Washington, in Italia deve crescere una nuova cultura della difesa.
Dal sondaggio di Alessandra Ghisleri si deduce che il 70% degli intervistati è favorevole ad una difesa europea, ma molti analisti si chiedono se è una prospettiva realistica.
La prima risposta politica è agire con un approccio bipartisan perché il pilastro europeo della NATO non resti una formula retorica, o meglio una scatola vuota. La verità è che su questo siamo molto indietro. In vista dell’imminente vertice della NATO all’Aja la situazione appare ancora confusa. Sarebbe invece indispensabile la convergenza dell’industria tecnologica e militare europea, a partire dal settore della difesa aerea. Sinora le rivalità tra Francia e Germania hanno ostacolato la realizzazione di un efficace scudo europeo. Serve una svolta perché la difesa aerea serve a difendere le popolazioni civili e tutti i cittadini italiani hanno visto in TV la differenza tra le capacità di Israele e dell’ Ucraina nel difendere le proprie città, gli ospedali, le scuole e le infrastrutture energetiche. La difesa aerea è molto costosa, ma è il settore a cui l’opinione pubblica è più sensibile per le sue evidenti implicazioni umanitarie.