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Bruxelles Alitalia

Ecco gli ultimi passi per Alitalia

Che cosa non fare su Alitalia. L’intervento di Salvatore Santangelo

 

Il clima della relazione tra il Governo italiano e la commissione UE sul caso Alitalia sembra oramai rovente.

Il sospetto che a Bruxelles si segua una linea di favore per mantenere lo status quo nel trasporto aereo continentale è diffuso tra i commentatori, i sindacati, i politici e una parte – sia pur minoritaria – dell’opinione pubblica nazionale.

Stretto tra numerosi fronti il Governo italiano appare in fase di stallo sulla questione del vettore nazionale. La necessità di far approvare il Piano di rilancio nazionale “Next generation EU” post covid è certamente la priorità.

L’esercizio di un ruolo più autorevole rispetto al passato nell’indirizzo delle politiche comunitarie è un’opportunità che la congiuntura politica europea propone all’Italia e che sarebbe delittuoso non provare a cavalcare.

La comunità nazionale è percorsa da tumultuose pressioni delle numerose constituency devastate dalla pandemia e dai lockdown, poco interessate alla questione Alitalia e assai più efficaci nell’orientamento dell’opinione pubblica nazionale.

Il progetto di rinascita della compagnia è incerto, fumoso, dilaniato tra punti di vista contrastanti tra loro, espressi da ogni commentatore e soggetto interessato in una cacofonia che aggiunge confusione alle incertezze del progetto e all’avversione dei concorrenti.

Pochi politici affrontano il tema con una vista lunga e sistemica, tanti lo svolgono nella mera chiave della ricerca del consenso emotivo. Non vi è dubbio che, per il Governo, affrontare lo scontro con la UE su Alitalia possa apparire un inutile spreco di energie che rischia di disperdere da altre importanti priorità.

Insomma, come spesso in passato, la Compagnia di bandiera è un vaso di coccio tra vasi notevolmente più robusti. Ciò nonostante, resta il dubbio che abbandonare al suo destino l’azienda sia un errore. Eppure dagli esperti non viene un’indicazione chiara e precisa su cosa sia rimasto di buono nell’Alitalia decotta.

Non si leggono indicazioni sull’evoluzione del quadro competitivo e sul possibile nuovo posizionamento strategico che la compagnia potrebbe perseguire. Il piano narrato è povero di analisi sui punti di forza e di debolezza, su opportunità da cogliere e criticità da prevenire.

È un progetto asfittico in quanto al proposto dimensionamento industriale, obsoleto nell’individuazione degli asset strategici su cui fare leva, preoccupato degli slot di Linate, già vecchi nel 1998 allorché su di essi si infranse il visionario progetto di Joint Venture con KLM. Privo di ogni lettura delle innovazioni tecnologiche proposte dall’industria dei costruttori. Ignaro di qualsiasi tentativo di coniugare un vettore del futuro nel contesto della rinata attenzione ai temi ambientali, vigorosamente rilanciati dalle dichiarazioni della nuova Casa Bianca, cui sembrano allinearsi tutti gli attori europei e, ora, perfino la Russia e la Cina.

Un management ancora ispirato dai modelli di business degli anni ’90 sembra desideroso soprattutto di potersi accomodare alla tavola di lauti compensi, invece che incline a realizzare un’impresa. Pronto a compromettere se stesso – una volta di più – sui tagli di attività e di staff, invece che battersi per un rilancio imponente dell’occupazione nazionale nel settore, in tutte le aree di grande valore desertificate da oltre vent’anni di ritirata supina.

Proporre una compagnia da 45 aeromobili abbarbicata a Linate, simbolo di un’antica Milano da bere, vera e propria archeologia sociale, è il segnale di una definitiva sconfitta nazionale in questo settore. Per quanto esso sia rilevante, perfino strategico nel dire di tanti, un governo nazionale responsabile che guardi al futuro, ma che ha l’obbligo di gestire il presente, non può impegnare se stesso in un’infinita battaglia di retroguardia priva di ogni speranza.

Se siamo all’ultima ora, ebbene si abbia il coraggio di affrontarla con audacia e creatività o, in assenza di ciò, con la dignità che pure un condannato a morte è chiamato a esprimere negli ultimi passi che il giudizio o la sorte gli ha assegnato.

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