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scandalo Daihatsu

Toyota, tutti i guai di Daihatsu

Si allarga ancora lo scandalo sui crash test scoperto ad aprile. Il numero di modelli interessati è salito a 64, di cui 22 venduti dalla casa madre Toyota. Il presidente di Daihatsu, Soichiro Okudaira, ha già ammesso i fatti

I giapponesi, è opinione comune, fanno le cose per bene. Nell’immaginario collettivo sono ligi al dovere come samurai e pronti a tutto pur di sposare lo spirito aziendale. Tant’è che la morte per superlavoro che spesso uccide persone giovanissime conosciuta dalla medicina moderna è stata codificata per la prima volta nell’arcipelago nipponico (karoshi). Non a caso, quando si parla di auto piccole e affidabili, solitamente la mente corre alle vetture nipponiche. Nell’ultimo periodo, però, il Paese del Sol Levante ha inanellato una serie di scandali che rischiano di gettare un’ombra sull’intero comparto.

GLI ULTIMI SCANDALI DEI MARCHI NIPPONICI

Su tutti quello che ha travolto la Hino Motors Ltd, produttore di camion e autobus, che aveva portato la casa madre controllante, la ben più nota Toyota, a prendere le distanze dalle condotte che hanno portato la realtà guidata dal Ceo Yoshio Shimo a falsificare i dati sulle immissioni per anni, con la stessa azienda costretta a più riprese ad annunciare nuovi stop alle spedizioni di veicoli all’estero.

GLI STRASCICHI DELLO SCANDALO TAKATA

Ancora più recente il maxi richiamo da 270mila unità di Volkswagen che ha riportato indietro le pagine del calendario al 2017, anno dello scandalo e del conseguente fallimento del costruttore Takata. Il richiamo della casa automobilistica tedesca ha riguardato difatti una nuova tranche di modelli in cui è installata la tecnologia del produttore giapponese Takata.

Secondo i dati dell’autorità federale tedesca per i trasporti automobilistici “guasti nel generatore di gas degli airbag frontali” potrebbero portare a un “dispiegamento incontrollato e rilascio di frammenti di metallo che potrebbero ferire gli occupanti”.

È tornato così prepotentemente d’attualità l’incubo degli airbag difettosi prodotti dal costruttore giapponese Takata che, come si anticipava, proprio a causa dei continui malfunzionamenti dei suoi dispositivi era stato costretto a dichiarare bancarotta nel 2017.

COSA HA COMBINATO DAIHATSU COI TEST SULLA SICUREZZA

L’ultima a essere travolta dagli scandali sui test truccati è stata Daihatsu. Se ne parla da diversi mesi e gli ultimi risultati dell’inchiesta hanno costretto la Casa giapponese a bloccare tutte le consegne.

Questa volta però le emissioni non c’entrano. A essere falsificati i risultati degli esami sulla sicurezza. Insomma i cosiddetti crash test. L’indagine ha individuato irregolarità in “174 voci all’interno di 25 categorie di test”. Il numero di modelli interessati è salito ora a 64, di cui 22 venduti dalla casa madre Toyota.

Il presidente Soichiro Okudaira ha già ammesso i fatti e in una conferenza stampa nella quale non sono mancati gli inchini si è scusato per “aver tradito la fiducia dei clienti”. Difficilmente resterà al posto di guida del marchio controllato da Toyota fino alla fine del 2023. Certo è che, dopo Hino, questo è il secondo scandalo che travolge un marchio del gruppo Toyota, per di più nel giro di pochi mesi. Al momento Toyota e Daihatsu hanno fatto sapere di non essere a conoscenza di incidenti causati dalla falsificazione, ma il danno all’immagine è comunque importante.

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