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Silk Faw Silk-Faw

Silk-Faw, era solo fuffa il progetto supercar elettriche in Emilia-Romagna?

Termina nel peggiore dei modi il sogno dello stabilimento che avrebbe dovuto costruire supercar elettriche a pochi passi da Lamborghini e Ferrari. Dopo la sparizione del costruttore, la Regione Emilia-Romagna ha revocato il contributo di 4,5 milioni di euro a favore della joint venture Silk-Faw. La strada per le gigafactory italiane si fa sempre più stretta

 

La Motor Valley italiana perde la sua prima gigafactory. O almeno la Regione non ci crede più e ha deciso di ritirare i fondi a sostegno di chi avrebbe dovuto costruirla, Silk-Faw. Difficile, quindi, che il progetto sarà portato avanti dato che il diretto interessato faticava proprio a reperire liquidi. In realtà quei 4,5 milioni di euro pubblici erano stati congelati da tempo, quando erano emersi i primi dubbi sulla serietà dell’operazione. Ma andiamo con ordine.

COS’È SILK-FAW

Silk-Faw è una joint venture sino-americana che intendeva trasferirsi in Emilia per produrre hypercar totalmente elettriche. La scelta del luogo non era affatto casuale, dato che Gavassa, a due passi dal casello di Reggio Emilia sull’autostrada del Sole e dalla avveniristica stazione alta velocità Mediopadana progettata dall’archistar Santiago Calatrava, si trova nel cuore della terra dove hanno mosso i primi passi – pardon, macinato i primi chilometri – mezzi da sogno come Ferrari, Maserati, Pagani, Lamborghini, Ducati, Dallara e Tazzari.

Ci troviamo, insomma, nella Terra dei Motori, o Motor Valley, Alla guida di Silk-Faw Katia Bassi (prematuramente scomparsa lo scorso autunno) e Giovanni Lamorte, direttore generale e amministratore delegato. Nella Motor Valley si sarebbero dovute produrre la S9, una hypercar ibrida in 400 esemplari da due milioni di euro, la S7, una supercar elettrica e un Suv.

LA POLITICA A BORDO DI SUPERCAR INESISTENTI

Un progetto da 1 miliardo di euro che avrebbe dovuto creare tra i 1500 e i 3000 posti di lavoro, accolto a braccia aperte dalla politica, a tutti i livelli, dalla giunta locale Pd guidata dal sindaco Luca Vecchi alla Regione Emilia-Romagna, per cui si erano spesi i 5Stelle al governo (firmò l’accordo proprio Manlio Di Stefano, da sottosegretario del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio) e al quale avrebbe lavorato pure l’ex premier Romano Prodi. 

“L’Emilia-Romagna viene scelta per realizzare un progetto di portata mondiale- aveva detto Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna, nel maggio del ’21-. Due gruppi internazionali, uno cinese e uno americano, decidono di unirsi e di investire qui per numerose ragioni: le professionalità presenti, le reti regionali dell’Alta tecnologia e dei Tecnopoli, che vedono insieme le nostre università e il mondo produttivo, le filiere innovative, la formazione specialistica e le infrastrutture digitali che si rafforzano attorno al Big Data Technopole di Bologna e alla Data Valley emiliano-romagnola”.

Strette di mano, firme, tante belle parole, poi però un lungo periodo di silenzio, che aveva già fatto mettere le mani avanti al presidente della Regione, Stefano Bonaccini, tra gli sponsor più entusiastici, che a metà marzo ha però cambiato registro: “Speriamo che l’investimento di Silk-Faw vada a buon fine, ma finché non lo vediamo realizzato non gli diamo un euro dei 4,5 milioni di finanziamento assegnati”.

FORNITORI E STIPENDI NON PAGATI

Anche perché i giornali locali hanno via via portato a galla particolari sempre più inquietanti. Non ultima l’intervista realizzata dal Resto del Carlino a un tecnico: “Molte promesse e pochi fatti. I soldi non sono mai arrivati e i dirigenti sono spariti”.

Il lavoratore, che per ovvie ragioni preferisce restare anonimo, aveva anche raccontato: “Lavoriamo negli uffici al Tecnopolo dove a febbraio è arrivato Jonathan Krane (presidente della joint venture, ndr) che ci ha illustrato il progetto solo a parole. Senza neppure una slide… E poi ha fissato l’obiettivo di realizzare un’auto elettrica in due anni. Io ho lavorato in una grande azienda che, nonostante una potenza di fuoco produttiva, ci ha messo 5 anni per sviluppare un’ibrida. E già sono pochi… Mi son detto: o qui arrivano container di soldi o la vedo dura…”.

E infatti non solo i soldi necessari all’avvio dell’impresa non si sono visti (“Siamo tutti bloccati coi fornitori verso i quali l’azienda ha 30 milioni di euro di debiti. Non ci sono soldi per lavorare coi software. Nessuno ha più visto Krane e nessuno della governance cinese è mai venuto qui. Che poi la domanda molto semplice é: perché se i cinesi hanno il 15% della compagine, sono loro a dover metterci i soldi e non gli americani?”), ma pare perfino terminato il tesoretto per pagare gli stipendi e si parla di cifre irrisorie per un’azienda che dovrebbe sviluppare supercar elettriche, dato che gli arretrati ai nemmeno 20 dipendenti ammontano a centomila euro (“Il primo campanello d’allarme è stato quando i top manager se ne sono andati. Hanno sentito la ’puzza’ prima di noi, perché avevano molte più mensilità arretrate di noi dipendenti”).

SILK-FAW INDIETRO PURE CON L’AFFITTO DEL TECNOPOLO

Con ogni probabilità la fonte del Resto del Carlino fa riferimento ad Amedeo Felisa e Roberto Fedel, entrambi nel frattempo passati all’Aston Martin. Del resto i manager alla data di quell’articolo erano indietro di 5 mensilità. Lo scorso luglio l’ultimatum della Regione: “O ci danno novità presentando il piano progettuale alla stampa o il progetto per noi è chiuso”, aveva detto l’assessore allo sviluppo economico, Vincenzo Colla.

La situazione si era fatta incandescente anche tra i dipendenti, tanto che a fine agosto l’amministratore delegato dell’azienda, Giovanni Lamorte aveva interrotto il lungo silenzio chiedendo ai dipendenti di sospendere la causa per evitare che la società finisse a gambe all’aria ancora prima di essere stata avviata. A  tutto ciò si era aggiunta la denuncia del M5S reggiano: Silk-Faw era anche indietro di tre mensilità d’affitto per i locali del Tecnopolo, sostengono i pentastellati, sulla base di documenti ottenuti da diversi accessi agli atti.

“Dai contratti – spiegava la consigliera comunale pentastellata, Paola Soragni – emerge che il 10 giugno 2021, Silk-Faw ha preso in locazione due spazi al Tecnopolo per complessivi 413 metri quadri da Stu Reggiane”. Stu – società partecipata al 70% dal Comune di Reggio e al 30% da Iren Smart Solutions “aveva solo 213 metri quadri di sua proprietà – continuava Soragni – mentre i restanti 200 sono di proprietà di Ghg, azienda di Albinea dell’ex assessore comunale nella giunta Delrio, Graziano Grasselli. Proprio il giorno prima della concessione in locazione a Silk-Faw dei due spazi, Stu Reggiane ha preso in affitto il locale di pertinenza di Ghg. Subaffittandola di conseguenza a Silk-Faw, assieme all’altro ufficio”.

Sempre dalle carte, emergeva che “Stu Reggiane versa 20mila euro annuali di affitto a Ghg. Mentre Silk Faw dovrebbe versarne 34mila all’anno a Stu per i due spazi. Ma risulta che l’ultimo trimestre non sia stato pagato. Dato che dunque Stu non riceve soldi ed essendo di proprietà pubblica, vorremmo capire se si configura un danno erarariale”, denuncia Soragni.

I DUBBI M5S SUI FONDI

“Vogliamo che la Commissione europea faccia chiarezza sui versamenti bancari di Silk Faw in Italia e sul rispetto delle leggi europee contro il riciclaggio” e “vogliamo anche che sia verificato il rispetto delle normative europee sui finanziamenti cinesi per questo progetto”, si legge in una nota firmata dall’europarlamentare del Movimento 5 Stelle, Sabrina Pignedoli, che a inizio marzo ha presentato un’interrogazione scritta a Bruxelles su “un’operazione con molti punti oscuri, appoggiata con entusiasmo dalla Regione Emilia-Romagna”.

“L’unica certezza del progetto – motivava la pentastellata – è un consumo abnorme di suolo, 320 mila metri quadri, per uno stabilimento che nasce per produrre auto sportive di lusso elettriche, ma che, secondo le visure della Camera di Commercio, domani potrebbe diventare qualsiasi cosa. L’operazione è finanziata attraverso una società con sede nel paradiso fiscale delle Cayman. A fronte di soldi e posti di lavoro promessi, la Regione Emilia-Romagna ha già dato 4,5 milioni di euro di fondi europei, mentre il comune di Reggio Emilia ha rinunciato agli oneri di urbanizzazione per un’analoga cifra. In più, è stato dato il via libera al progetto senza valutazione dell’impatto ambientale. L’azienda Faw ha un precedente poco glorioso in Europa: il fallimentare progetto Byton avviato in Germania nel 2016 con ex dirigenti Bmw e Nissan, naufragato nel 2019, con 1500 licenziamenti. Ma Faw, che ha acquisito il know-how, ora produce e vende il suo suv in tutto il mondo. Anche lo stabilimento emiliano mette a rischio il Made in Italy”, continuava l’eurodeputata Pignedoli.

I TIMORI DI LEGAMBIENTE

E poi c’erano le remore degli ambientalisti. Scriveva a ottobre Daniele Bigi, presidente WWF Emilia Centrale: “La fabbrica Silk-Faw ha l’ambizione di diventare la cattedrale iconica della Motor Valley. Occuperà 360 mila metri quadrati di superficie nella frazione di Gavassa”, sottolineando come “di questi, solo la minima parte sarà riservata per la produzione, mentre la maggior parte sarà dedicata alla costruzione di una pista prove, un hotel 5 stelle, negozi e aree esperienzali per adulti e bambini. Una sorta di Disneyland dell’automotive di lusso. Secondo quanto riferito dalla stessa Silk Faw, che ha recentemente presentato lo Studio ambientale preliminare, non sono previste a Gavassa né la produzione e trasformazione di metalli, né la produzione di celle per le batterie degli autoveicoli elettrici, che verranno quindi importati”.

Quindi Bigi, come l’eurodeputata 5Stelle, metteva l’accento sul precedente tedesco: “Un aspetto interessante è relativo al nome che recide i legami con la Cina: il brand non sarà più Hongqi (bandiera rossa, in cinese) ma un altro da decidersi. Come è noto la Hongqi S9 è stata presentata in Europa, la prima volta, al salone di Francoforte, nel settembre 2019, e avrebbe dovuto essere messa in produzione nel 2021 in Germania, in collaborazione con Byton Faw, una joint venture sino-tedesco-americana, nata nel 2017 e fallita nel febbraio 2021, senza produrre mai una sola vettura e lasciando a casa 1.500 persone, a detta del suo fondatore Carsten Breitfeld, a causa delle interferenze del governo di Pechino”.

L’INDAGINE DELLA MAGISTRATURA

Secondo la Gazzetta di Reggio si era mosso, tramite un esposto, anche un avvocato e politico locale, Gianluca Vinci di Fratelli d’Italia, con l’intento di pungolare la magistratura perché usi i suoi mezzi per fare luce su i continui rinvii nell’acquisto dei terreni e nell’avvio del progetto.

I TANTI INTERROGATIVI IN SOSPESO

“Il fatto che a monte di tutta l’operazione vi sia una società con base alle Cayman, getta lunghe ombre sulla trasparenza di tutta questa operazione”, scrive ReggioSera. “Mister Jonathan Krane, finanziere con base alle Cayman, deus ex machina di tutta questa operazione, ci fece rispondere, a suo tempo, che c’erano dietro le più grandi banche cinesi. Di certo, finora, c’è che gli unici soldi che sono circolati riguardano il prestito di 16 milioni di euro fatto all’inizio del 2021 alla Silk Ev Cayman Lp di Jonathan Krane, con base alle Cayman, che scadeva il 28 gennaio 2022 […] Come faccia – si chiede il quotidiano che segue da tempo la vicenda – una società che non ha i soldi per pagare due mensilità a 17 dipendenti (parliamo di poco più di 100mila euro) e che deve restituire 15 milioni di euro a stipulare un rogito (sempre rinviato, infatti) di 30 milioni di euro e fare un investimento da oltre un miliardo di euro a Gavassa, resta un mistero”.

GLI ULTIMI RINVII DI SILK-FAW

L’azienda da parte sua aveva promesso di destarsi dal torpore organizzativo tra la fine della scorsa estate e l’inizio dell’autunno. Inutile dire che anche quella deadline non è stata però rispettata. E così la Regione, stanca di tenere da parte un tesoretto che potrebbe essere maggiormente utile altrove, è passata all’azione.

TITOLI DI CODA

La Giunta comunica di aver posto in essere una rinuncia “all’accordo di insediamento e sviluppo sottoscritto in data 27 aprile 2022″ da parte della stessa società, che di fatto annulla l’intesa con la Regione sia per quanto riguarda le strutture sia per i fondi pubblici.

Si chiude quindi nel peggiore dei modi l’epopea di quella che sarebbe dovuta essere la prima gigafactory italiana oltre all’impianto di Stellantis. Una notizia che rischia di rendere il nostro Paese periferico rispetto alle sfide della mobilità elettrica, tanto più se letta assieme agli ultimi sviluppi, sicuramente non incoraggianti, della gigafactory Italvolt di Ivrea, che potrebbe non essere più realizzata negli ex stabilimenti della Olivetti. E il governo che fa?

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