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Perché il ritardo della Metro C non riguarda solo i romani

Dopo un lungo stop ripartono i lavori sulla Metro C di Roma. Finiranno nel 2033, se tutto va bene. Aggiungere sette anni al tempo di costruzione di una metropolitana non è prendere ma perdere tempo, che diminuisce la qualità della vita e porta alla minor fiducia nel metodo democratico. Il commento di Gregory Alegi, storico e giornalista, docente alla Luiss Guido Carli

La linea C della metropolitane di Roma sarà completata, se tutto va bene, nel 2033, cioè 27 anni dopo l’apertura dei primi cantieri per i sondaggi archeologici. È questo l’obbiettivo annunciato nei giorni scorsi, in occasione della nuova viabilità a piazza Venezia, uno degli snodi nevralgici del traffico della capitale.

LA METRO C, TRA LEGGENDA E REALTÀ

La leggenda urbana spiega la lenta costruzione della metropolitana di Roma proprio con la ricchezza dei reperti storici nel sottosuolo. In realtà, il tempo si perde soprattutto per la cattiva politica, demagogica e incapace di programmare o addirittura contraria alle grandi opere.

Perché è chiaro che con lo stop politico ai lavori nei cinque anni della giunta Raggi non c’entra nulla l’archeologia e molto l’ideologia. Senza quello stop e senza i due anni necessari perché Gualtieri rimettesse in moto la macchina, la linea C sarebbe potuta entrare in servizio nel 2026 – troppo tardi per il Giubileo del 2025 ma con ampio margine per l’Expo 2030, ove mai Roma se lo dovesse aggiudicare.

E invece, niente. La convergenza tra il pregiudizio populista contro le grandi opere e l’illusione ambientalista che la sfida della “città dei 15 minuti” si vinca a colpi di monopattini elettrici (sussidiati) e la ZTL più grande d’Europa, condita dalla debolezza con il potere forte dei taxi, fa sì che per i comuni mortali la mobilità a Roma resti un miraggio.

TUTTE LE DIFFICOLTÀ DELLA METRO C

Ci sono pochi dubbi che la Metro C sia nata sotto una cattiva stella, tra mancanza di finanziamenti e incertezze sul percorso, compresa la fermata a Largo Argentina, tanto importante per servire i luoghi turistici quanto colma di problemi archeologici legati all’area sacra romana, dove nella Curia di Pompeo fu ucciso Cesare. C’era poi il contenzioso da oltre 700 milioni per le varianti in corso d’opera (45, in parte legate alle incertezze e alla partenza senza progetto esecutivo).

Ma è pur vero che dal 2002 al 2014 il 70% del costo era sostenuto dallo Stato, con un altro 12% a carico della regione Lazio per la tratta fuori del comune (pardon, Roma Capitale). Pur pagando circa un quarto del totale, Roma decideva però su tutto. Tra extracosti e arbitrati, la giunta Raggi decise di abbandonare l’opera, che fino a quel momento si era concentrata soprattutto sull’ammodernamento della parte extraurbana. Nel 2018 fu inaugurata la stazione di San Giovanni, eredità delle amministrazioni precedenti. Era l’ultimo segno di vita, tanto che tra 2019 e 2020 la stampa trattò ampiamente la “tombatura” delle “talpe” impiegate per scavare la linea C. Il prolungamento dello scavo sino a piazza Venezia scongiurò il disastro, ma non il fermo lavori. In parallelo il Comune decise di chiudere Metropolitane di Roma, di cui era unica azionista, che accentrava tutti gli aspetti progettuali, amministrativi e gestionali delle metropolitane. Una notevole semplificazione, che forniva un punto unico di gestione, evitando la frammentazione di competenze che rallenta e complica le grandi opere pubbliche. Ma la competenza tecnica e la capacità di proporre soluzioni alternative davano fastidio alla retorica anti-grandi opere, nella quale trovava peraltro spazio la cervellotica funivia Casalotti-Boccea.

LA DECISIONE DI GUALTIERI

Gualtieri ha deciso, saggiamente, di riprendere l’opera, peraltro ancora in forma ridotta, con una biforcazione a piazzale Clodio di tre fermate verso Foro Italico e Farnesina (e dunque lo stadio Olimpico) e piazza dei Giochi Istimici. I lavori sono formalmente ripresi sette anni dopo nel giugno 2023.  Resta solo un auspicio l’altro tronco, che da Clodio in sei fermate dovrebbe portare a Casal del Marmo. Della linea D, che da via Ojetti (e poi Casal Monastero) dovrebbe arrivare a Trastevere, per poi scindersi verso Corviale da una parte e Nazioni Unite (poi Laurentina GRA) dall’altra, non si hanno notizie.

Alla presenza di resti archeologici si può ovviare con più facilità che alla demagogia, ed il tempo buttato in beghe di basso livello non si può più recuperare.  In termini concreti, tutto questo riguarda i soli romani (forse neanche tutti, se si considera che al completamento della linea C questo romano avrebbe LXX primavere, beninteso salvo ritardi). In termini generali, la differenza tra difficoltà tecniche e cattiva politica interessa invece tutti, perché i politici che scaricano sui cittadini attuali e futuri il costo della propria mancanza di scegliere sono un problema che si pone ovunque. Aggiungere sette anni al tempo di costruzione di una metropolitana non è prendere ma perdere tempo, che diminuisce la qualità della vita e porta alla minor fiducia nel metodo democratico.

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