È stato il Mossad. Anzi, gli amerikani. Anzi, la pseudo-resistenza interna sovvenzionata dagli amerikani per conto del Mossad. Oppure, più semplicemente, è stato un incidente dovuto a fattori tecnici, ambientali, organizzativi, umani.
La morte di Ebrahim Raisi, presidente dell’Iran, e del suo ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian nello schianto dell’elicottero sul quale viaggiavano ha subito scatenato il complottismo della rete, pronta a inseguire e consumare rivelazioni di ogni genere ma incapace di esaminare gli elementi in modo sereno e obiettivo.
Benché Raisi fosse una figura a dir poco controversa, responsabile dell’uccisione di migliaia di prigionieri politici nel 1988 e della successiva repressione di ogni violazione della legge islamica, le cause della sua morte con ogni probabilità sono più tecniche che politiche.
In primo luogo, l’elicottero. I primi lanci di agenzia mostravano un Mil Mi-17, un elicottero medio di origine sovietica, robusto ma rudimentale. Si è poi passati al Bell 412, di progetto e costruzione americana, per approdare infine all’Agusta Bell AB212. Senza poter avere certezze sul modello, è chiaro comunque che si tratta di tecnologia vecchia, costruzione vecchia e dunque con pochi apparati di navigazione o sistemi di sicurezza come lo sghiacciamento delle pale del rotore: non l’ideale per volare in montagna, nel maltempo, con pioggia e forse nevischio.
Se davvero si trattava di un Bell 412 o AB 212, bisogna aggiungere anche i problemi manutentivi. L’embargo americano rende infatti difficile approvvigionare le parti di ricambio necessarie per volare in sicurezza con una macchina di oltre quarant’anni di vita.
Strettamente collegata alla manutenzione è la possibilità di svolgere adeguata attività di volo per mantenere i livelli appropriati di addestramento dell’equipaggio. Chi vola poco, in altre parole, è decisamente più pericoloso di chi vola tanto. Ma se gli elicotteri volano poco per mancanza di ricambi, ecco che i piloti diventano pericolosi per mancanza di pratica. In particolare, per operare nel maltempo bisogna essere addestrati al volo strumentale (IFR, in gergo). Oggi questo si fa in gran parte con i simulatori, ma anche tale tecnologia è preclusa all’Iran dall’embargo.
Ecco quindi tre fattori che, da soli o in combinazione tra loro, possono aver posto le condizioni per un incidente. Un equipaggio poco addestrato, su una macchina poco strumentata, in condizioni di manutenzione non ideale, lanciata tra le montagne nel maltempo.
Secondo le statistiche di sicurezza del volo, un pilota che entri nelle nubi senza seguire le regole IFR cade vittima rapidamente del disorientamento spaziale e subisce un incidente nel giro di un minuto. E qui scatta il fattore organizzativo e ambientale. È molto probabile che i due piloti iraniani – tutti questi elicotteri hanno un equipaggio di due piloti – fossero perfettamente consapevoli del rischio. A spingerli, o forse costringerli, ad affrontarlo potrebbe essere stato la presenza dei passeggeri VIP che dovevano assolutamente rientrare dalla visita al confine con l’Azerbaigian. Così, un volo che in altre circostanze sarebbe stato prudentemente rinviato andava fatto a tutti i costi. La pressione sarebbe stata alta in qualsiasi paese ma in Iran, tra mancanza di libertà e cultura maschilista, era praticamente impossibile tirarsi indietro. Ed era quindi praticamente garantito il disastro – quello che i piloti italiani talvolta chiamano “trovare la nuvola con l’osso”. In altre parole, parole entrare in una nuvola bassa, perdere ogni riferimento esterno ed andare a sbattere contro un ostacolo che non si sapeva essere lì.
In Italia o in un altro paese occidentale, l’inchiesta tecnica ricostruirebbe i dettagli con precisione, anche grazie a investigatori tecnici indipendenti e laboratori ben equipaggiati: tutte cose che in Iran non abbondano certo. Ma anche così, non ci vuole molta fantasia per farsi un quadro realistico di quanto accaduto all’elicottero di Raisi. Senza bisogno di scomodare i complotti.