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Ponte Morandi

Ponte Morandi, le delinquenziali magagne di Autostrade con i Benetton spiegate da Mion

Che cosa ha detto Gianni Mion, ex ad della holding dei Benetton Edizione, ex consigliere Aspi e della sua ex controllante, Atlantia, al processo per il crollo del Ponte Morandi.

 

L’ex manager del gruppo Benetton, Gianni Mion, a babbo morto dice che il gruppo Benetton sul Ponte Morandi ha combinato di fatto solo disastri. Leggere per credere.

CHE COSA HA DETTO MION SUL PONTE MORANDI

“Emerse che il ponte aveva un difetto originario di progettazione e che era a rischio crollo. Chiesi se ci fosse qualcuno che certificasse la sicurezza e Riccardo Mollo mi rispose ‘ce la autocertifichiamo’. Non dissi nulla e mi preoccupai. Era semplice: o si chiudeva o te lo certificava un esterno. Non ho fatto nulla, ed è il mio grande rammarico”, ha detto Gianni Mion, ex amministratore delegato della holding dei Benetton Edizione, ex consigliere di amministrazione di Autostrade per l’Italia (Aspi) e della sua ex controllante, Atlantia, al processo per il crollo del Ponte Morandi. Mion lo ha detto riferendosi ad una riunione del 2010, ovvero otto anni prima del crollo.

LA RIUNIONE SUL PONTE MORANDI

Alla riunione parteciparono l’ad di Aspi Giovanni Castellucci, il direttore generale Riccardo Mollo, Gilberto Benetton, il collegio sindacale di Atlantia e, secondo il ricordo del manager, tecnici e dirigenti di Spea. Dopo queste frasi, l’avvocato Giorgio Perroni, che difende l’ ex direttore del Primo tronco di Autostrade, Riccardo Rigacci, ha chiesto di sospendere l’esame di Gianni Mion e di indagarlo. Rigacci è indagato insieme ad altre 58 persone. L’esame di Mion è andato avanti e i giudici hanno detto che si riservano sulla richiesta avanzata da Perroni. “Ci fu quella riunione dove venne evidenziato il problema di progettazione. Ma nessuno pensava che crollasse”, ha detto Mion dopo la sua testimonianza in aula, un concetto ribadito anche nel corso del controesame di diversi avvocati.

LA STUPIDAGGINE SULL’AUTOCERTIFICAZIONE

“Che la stabilità dell’opera venisse autocertificata – ha detto il manager – per me era una c…, una stupidaggine e mi aveva fatto impressione. Dopo quella riunione avrei dovuto fare casino, ma non l’ho fatto. Forse perché tenevo al mio posto di lavoro. A quella riunione c’era anche Gilberto Benetton, sapeva anche lui che c’era quel problema. Ma anche lui si è fidato di questa autocertificazione. È andata così, nessuno ha fatto nulla e provo dispiacere. Quante cose non abbiamo fatto da stupidi che cercheresti di non fare”. “Ho ancora molta stima di Castellucci – ha continuato -. Io penso che ci sia un motivo per cui non è stato fatto nulla in tutti questi anni. Queste grandi società sono autoreferenziali per definizione perché sono il riferimento per tutto il settore. E però anche lo Stato non ha verificato abbastanza”. “Io spero che adesso si verifichi meglio del passato. Spero questo per tutti. Io purtroppo non posso rinascere. Sono alla fine della mia corsa, speravo che finisse meglio”.

CHI E’ GIANNI MION

Mion, già uomo di fiducia dei Benetton, fa riferimento a una riunione del 2010, ovvero otto anni prima del disastro, a cui parteciparono anche l’ad di Aspi Giovanni Castellucci, Gilberto Benetton, il collegio sindacale di Atlantia e, secondo i ricordi del manager, tecnici e dirigenti di Spea Engineering (controllata di Atlantia addetta al controllo delle infrastrutture).

IL DOSSIER SPEA

“Fu fatto un errore da parte di Aspi quando acquistò Spea, la società doveva stare in ambito Anas o del ministero, doveva rimanere pubblica. Il controllore non poteva essere del controllato”. Dopo le intercettazioni e il crollo nella galleria Bertè (A26, il 30 dicembre 2019, ndr), ha aggiunto, “avevo la sensazione che nessuno controllasse nulla. La mia idea è che c’era un collasso del sistema di controllo interno e esterno, del ministero non c’era traccia. La mia opinione, leggendo ciò che emergeva, è che nessuno controllasse nulla”.

SPEA VISTA DA TOMASI

“Man mano che i test venivano validati da società esterne al gruppo, ci rendemmo conto che in precedenza erano stati attribuiti coefficienti di rischio ad alcune opere decisamente inferiori allo stato effettivo dell’infrastruttura stessa. In alcuni casi rilevammo un incremento anche del 200%. I comportamenti di alcuni dipendenti di Spea Engineering erano inaccettabili. Non la ritenevamo affidabile, per questo ci rivolgemmo all’esterno”. Così Roberto Tomasi, attuale ad di Aspi, rispondendo su Spea nel processo sul crollo di Ponte Morandi. Il manager non è imputato né indagato in procedimenti collegati, ma è audito come persona informata dei fatti.

GLI SCAZZI SU ABERTIS TRA I MANAGER ATLANTIA

La fusione tra Atlantia e la spagnola Abertis creò dissapori tra Gianni Mion l’allora ad Vito Gamberale e il direttore generale Giovanni Castellucci. “Quella fusione era una mia idea perché noi eravamo molto impreparati. La gestione della rete autostradale – ha detto in aula – era troppo difficile, per questo auspicavo un intervento di terzi. Gamberale l’aveva supportata all’inizio poi quando vide la reazione contraria della politica cambiò idea. Da quel momento il mio ruolo divenne marginale. Gilberto Benetton non mi seguiva più, disse che non si doveva fare. Aveva fiducia totale in Castellucci che pensava non avessimo bisogno di soci esteri”.

LE TESI DI MION

“Davamo per scontato – ha continuato Mion – che il management esistente della vecchia Autostrade fosse in grado e invece le cose non andarono così e per questo pensai ad Abertis, per diluire nostri compiti. Questo mio orientamento mi allontanò da Gamberale e Castellucci perché temevano di perdere poteri. Poi vi fu un intervento diretto a livello istituzionale, politico, sul signor Benetton, gli dissero che non si doveva fare e anche lui non era più convinto”.

LE PAROLE DI MION SU CASTELLUCCI

L’esame del pubblico ministero Walter Cotugno si è poi concentrata sulla figura di Castellucci. “Una persona preparatissima. Era uno che approfondiva tutto con grande competenza e sagacia. Andava anche nei dettagli. Con Aeroporti di Roma ha fatto un capolavoro. Avevo detto che era un accentratore forsennato? Oggi non sono in grado di rispondere. Lui ha fatto cose eccezionali, per Aeroporti ha stilato anche il protocollo per pulire i vetri e per fare togliere le gomme da masticare”.

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STORIA DEI RAPPORTI FRA I BENETTON E GIANNI MION, ESTRATTO DA UN ARTICOLO DEL CORRIERE DELLA SERA:

Mion e i Benetton, un rapporto strettissimo fin dai tempi in cui il core business del gruppo di Ponzano era l’abbigliamento. «Entrai nel 1986 in Edizione e la volontà era quella di diversificare il portafoglio», ha ripercorso velocemente la storia finanziaria della quale è stato uno dei protagonisti. Maglioni, sport, Piazza Affari e quel pallino di Gilberto Benetton: Autostrade. «Ma la verità è che eravamo incompetenti e le cose migliori le abbiamo fatte quando avevamo dei soci che ci aiutavano a capire». Questo pensiero d’incompetenza era emerso in modo chiaro dalle intercettazioni disposte dalla Procura di Genova dopo il disastro del Morandi, che hanno messo a nudo un quadretto familiare e del management non proprio idilliaco. «C’è poco da fare, il clima è questo e adesso bisogna inventarsi qualcuno che affianchi i Benetton perché il vero problema è la loro inettitudine… non c’è stata la minima presa di coscienza», sottolinea Mion in una chiacchierata. Nelle conversazioni si parla di Franca Benetton che «dice delle cose e dopo cinque minuti dice l’opposto, non stimola gli investimenti, le piacciono anche i dividendi…»; di suo cugino Alessandro che «adesso vuole i soldi perché lui ha un progetto, dice che è imprenditore e che gli altri non capiscono niente, mamma mia, pensano solo ai c… loro»; di Sabrina che scalpita e «incontra Franca ma i loro discorsi non sono mai molto concreti».

L’anima finanziaria del gruppo era Gilberto, padre di Sabrina, deceduto due mesi dopo la tragedia. Era lui il collante, l’artefice della crescita esponenziale delle attività. Fra Gilberto e gli amministratori gravitava Mion, ad di Edizione, poi consigliere di Atlantia e di altre società, un po’ ufficiale di collegamento con le varie realtà aziendali. «Monitoravo il lavoro dei cda, indicavo consiglieri, direttori… — ha spiegato ieri — mi sono sempre considerato un surrogato dell’azionista, che cercavo di supportare in tutti i modi. In alcuni frangenti ritenevo di avere più mestiere io… Ma Autostrade era una cosa troppo difficile per noi e per i miei azionisti».

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