L’audizione in Parlamento di Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, il gruppo automobilistico franco-olandese che ci si ostina a considerare “italiano” ma che italiano non è più da alcune ere geologiche, ha messo in luce un’amara verità: l’Europa ha già perso la battaglia mondiale dell’auto. L’Europa l’ha persa, intendendosi con “Europa” i lavoratori europei, giacché il grande capitale non ha bandiera (a parte quella della sede fiscale più conveniente pro-tempore) e alla fine vincerà.
Tre sono le cose che emergono dall’audizione di Tavares. La prima è la totale incomprensione di quasi tutti i commentatori delle reali dinamiche in atto nel mondo sulla transizione dell’industria automobilistica, che è in radice punitiva ed escludente nei confronti della gran parte delle case europee. Le spinte verso l’auto elettrica arrivano da molto lontano (diremmo”in tempi non sospetti”, almeno dal 2010) ed originano dalla necessità per il blocco di interessi tedesco di ristrutturare la propria industria. Non solo quella dell’auto, ma tutto ciò che ruota attorno ad essa, ovvero la gran parte della manifattura tedesca. In questo, Stellantis c’entra poco, anzi: nel disegno della ristrutturazione del settore, era uno di quei soggetti destinati a soccombere nella lotta mondiale dell’auto. Una vittima sulla strada dello sviluppo industriale. Si ha la sensazione, ascoltando Tavares, che l’azienda che dirige si sia trovata suo malgrado in questa situazione, stritolata tra gli obblighi imposti dall’Unione e una catena di fornitura con costi ingestibili, che costringono a prezzi alti in un mercato in recessione. Ed in effetti, è proprio così. Ma i dirigenti dei gruppi tedeschi dell’auto non fanno questo tipo di discorsi, basta leggerli: essi sono determinati ad andare avanti, come Hernàn Cortes hanno bruciato le loro navi e sono alla conquista dei nuovi territori. Certo, anche l’auto tedesca chiede sussidi, ma non si lamenta dei regolamenti europei, giacché essa li ha sostanzialmente voluti.
La seconda è la deprimente strumentalizzazione politica: le critiche a Tavares sono più che legittime (ed alcune assai fondate), a patto però che non vengano dalla parte politica che più di tutte si è spesa per assecondare le spinte tedesche nascoste sotto il comodo mantello europeista tinto di verde. Accusare Stellantis di soccombere con colpa nella battaglia mondiale per l’auto è un po’ come accusare il proprietario di una casa bombardata. Forse bisogna guardare a chi ha gettato le bombe.
Il terzo elemento è la necessità immediata di trovare alternative per il settore automotive italiano. Le operazioni di concentrazione degli ultimi decenni hanno lasciato Stellantis unico dominus in Italia nella battaglia dei costruttori, ma vi è un panorama della componentistica molto legata all’estero. L’auto sarà sempre più un settore dominato dalle case asiatiche, cinesi segnatamente, con gli americani che si difenderanno. Ecco un piccolo dettaglio che fa tutta la differenza del mondo: l’Europa non ha un interesse comune, al contrario di Cina e Usa che essendo stati unitari hanno una cosa chiamata “interesse nazionale”. In Unione europea ha vinto sinora l’interesse tedesco, cui tutti gli altri si sono accodati più o meno consapevolmente. L’Unione asseconda gli interessi germanici nel settore dell’auto facendo il male delle altre parti dell’Unione (anzi, della dis-unione). Non tragga in inganno la vicenda dei dazi europei alle auto cinesi: questi nulla cambiano, nella contesa mondiale dell’auto. L’auto elettrica serve a scuotere l’albero del settore facendo cadere i frutti più maturi come Stellantis, per permettere a nuovi entranti di “distruggere creativamente” il settore. È un ciclo di innovazione che fa entrare nuovi soggetti come Tesla, le case cinesi e i software in un settore molto maturo, in cui l’innovazione procedeva per piccoli passi marginali.
Il fatto che questa onda schumpeteriana di innovazione sia generata da obblighi regolamentari europei ne muta il profilo originario, ma non l’esito: sopravviveranno in pochi, tra i soggetti storici del settore. È quella che chiamerei la “deriva Nokia”. Tra i primi e più innovativi soggetti nel settore delle telecomunicazioni, in pochi anni la casa finlandese fu scalzata dalla concorrenza asiatica nel settore degli apparecchi cellulari.
Mutatis mutandis, nel settore dell’auto sta accadendo la medesima cosa. Prima si comprende questo, prima si troveranno alternative.