Il diritto di sciopero è fondamentale in una democrazia, il suo esercizio è un presidio di libertà, pur nell’ambito delle leggi che lo regolano (come sancisce l’articolo 40 Cost.), che devono avere il carattere delle soft law. Il mio professore di diritto del lavoro mi ha insegnato che uno sciopero si legittima per la sua riuscita.
In Italia gli unici interventi legislativi – preceduti da codici di auto regolamentazione dei sindacati stessi – si prefiggono di trovare un punto di equilibri nei servizi pubblici essenziali tra diritto di sciopero dei lavoratori interessati e il diritto dei cittadini ad usufruire dei beni e delle prestazioni ritenute indispensabili per la loro libertà. Questo equilibrio viene ricercato nelle modalità di esercizio dello sciopero in quei servizi e in quei settori e apparati produttivi che devono sempre essere gestiti in condizioni di sicurezza.
Per garantire il rispetto di queste regole è istituita una specifica Authority che svolge funzioni di vigilanza, di controllo impartendo le relative prescrizioni. Espletate le procedure previste lo sciopero è legittimo. Ovviamente – come per tutti gli eventi – è consentito un giudizio di merito su di uno sciopero, sulle sue motivazioni e sui promotori.
Per quanto mi riguarda considero irresponsabile l’ennesimo “sciopero del venerdì” nel settore dei trasporti proclamato dai sindacati di base. Le loro motivazioni sono un elenco di rivendicazioni propagandistiche che mescolano problemi diversi tra loro per la soluzione dei quali uno sciopero generale nei trasporti in Italia, promosso da sindacati di minoranza al solo scopo di “farsi riconoscere” non avrà alcuna influenza, ammesso e non concesso che tali rivendicazioni abbiano un minimo di validità anche solo teorica ed astratta.
Vediamo la ‘’piattaforma’’ che consentirebbe di allungare il week end. I lavoratori sono chiamati a manifestare “contro il genocidio in Palestina, la fornitura di armi a Israele e l’assenza di un intervento concreto per dissociarsi dagli orribili crimini perpetrati dal Governo di Israele; contro la guerra, l’economia di guerra e l’aumento delle spese militari, in aggiunta di 40 miliardi di euro già previsti per il triennio in corso”. Nel caso della “pace anche nel conflitto Russia-Ucraina” la piattaforma è molto sbrigativa tanto che manca ogni aggettivo qualificativo di questa “pace” perché ai promotori va bene purchessia.
Comincia poi l’elenco delle rivendicazioni di contenuto economico/sociale: “gli investimenti su sanità, scuola, trasporti, welfare il cui peggioramento approfondisce le disuguaglianze esistenti e la povertà; contro lo sfruttamento sul lavoro, la precarietà e il contenimento delle retribuzioni sia in sede di rinnovo dei contratti del settore pubblico sia del settore privato, a opera di organizzazioni sindacali che sottoscrivono intese impopolari e spesso senza sottoporle all’approvazione dei lavoratori”.
I lavoratori si asterranno dal lavoro anche per chiedere “forti aumenti salariali e delle pensioni, comprese le minime a 1.000 euro al mese e il superamento del sistema contributivo, così da permettere di recuperare il potere di acquisto eroso dall’inflazione, per l’approvazione di una misura di salario minimo non inferiore a 12 euro l’ora e per la reintroduzione di un meccanismo di adeguamento delle retribuzioni all’andamento del costo della vita”.
Infine, il sistema della mobilità è invitato a fermarsi “contro l’assenza di politiche sociali a cominciare dall’emergenza abitativa e la mancanza di piani di sviluppo dell’edilizia popolare, per una seria riforma degli ammortizzatori sociali; contro l’assenza di politiche industriali capaci di superare la fase di forte conflittualità, innescando un processo di ulteriore deindustrializzazione e sfruttamento delle classi popolari e dei lavoratori; contro la scelta autoritaria in materia di leggi repressive del dissenso e del conflitto sociale; contro le morti sul lavoro; contro la legge ‘Sbarra’ con cui il Governo tenta di scaricare sui lavoratori il rischio di impresa con gravi conseguenze su salari e condizioni di lavoro”. Quest’ultimo passaggio si riferisce alla legge sulla partecipazione che – a quanto pare – è considerato un trucco per trasformare i lavoratori dipendenti in imprenditori falliti.
Al cospetto di una siffatta piattaforma qualunque persona minimamente informata è in grado di individuare la logica del +1 ovvero la prassi negativa di avanzare richieste insostenibili e totalmente “fuori mercato” al solo scopo di propagandare una maggiore radicalità nel conflitto sociale attribuendo ai sindacati responsabili una patente di moderazione rinunciataria. Purtroppo vi sono settori in cui questa (sub)cultura ha attecchito creando non pochi problemi al sindacalismo tradizionale, il quale – per non perdere consenso – troppo spesso reagisce inseguendo gli sfasciacarrozze. Senza rendersi conto di candidarsi all’insuccesso (perché gli errori sono tali per chiunque li commetta) e di contribuire così ad alimentare la demagogia.
Non è un caso che, il giorno dopo, si svolgerà una manifestazione a Roma con una piattaforma di politica internazionale praticamente copiata da quella del giorno precedente.