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Perché sei investitori istituzionali fanno causa a Volkswagen per la sua attività di lobby

Secondo i sei investitori istituzionali, titolari dello 0,1% del capitale della Volkswagen, i buoni propositi di riduzione dell’impronta carbonica della Casa tedesca, tra le europee che si sono mosse con maggior convinzione verso l'elettrico, e le attività associative sarebbero in contraddizione

Sei investitori istituzionali, ovvero i fondi pensione svedesi AP7, AP2, AP3, AP4 cui si aggiungono l’ AkademikerPension della Danimarca e il Church of England Pensions Board britannico, hanno deciso di citare in giudizio Volkswagen in quanto, a loro avviso, l’appartenenza a organismi come l’Acea contrasta con le dichiarazioni rese in pubblico dai vertici aziendali sull’importanza della transizione verso la mobilità elettrica. Per i sei, il colosso tedesco insomma predicherebbe bene in pubblico, ma razzolerebbe male in privato. Si tratta di investitori piuttosto piccoli, ma fortemente green: l’anno scorso AkademikerPension e Church of England Pensions Board fecero notizia per aver aspramente criticato il numero uno della Toyota, Akio Toyoda, per i suoi noti tentennamenti sulla rincorsa verso la mobilità elettrica.

Il motivo del contendere con il gruppo tedesco, che ora dovrà comparire davanti al tribunale di Braunschweig, va rintracciato nell’ultima assemblea, quando la Casa di Wolfsburg si era rifiutata di fornire informazioni sulla sua attività di lobbying, rigettando la proposta di inserire tra gli argomenti in discussione una apposita modifica all’articolo sull’associazionismo dello statuto sociale. Gli investitori, titolari nel complesso dello 0,1% del capitale della Volkswagen, parte dell’Institutional Investor Group on Climate Change (IIGCC) e della Climate Action 100+ Initiative, avevano presentato un emendamento che intendeva assicurare che la futura reportistica sulla sostenibilità includesse una valutazione dell’impatto delle attività di lobbying e la loro coerenza con gli obiettivi climatici.

La corte di Braunschweig è stata investita della questione e dovrà verificare se il diritto societario tedesco consenta alle aziende di rifiutarsi di integrare gli ordini del giorno delle assemblee su richiesta degli azionisti e, in caso affermativo, determinare se Volkswagen possa continuare a escludere l’integrazione anche per l’anno prossimo. Occorre comunque notare che la Casa di Wolfsburg aveva respinto la proposta di integrazione non per motivi di merito, ma ritenendo che la questione esulasse dalla competenza dell’assemblea generale.

Secondo i sei, i buoni propositi di riduzione dell’impronta carbonica della Casa tedesca, tra quelle del Vecchio continente che si è mossa con maggior convinzione verso l’elettrico e le attività associative sarebbero in contraddizione. Una contraddizione tale che ne discenderebbe perfino un possibile danno reputazionale, che ricadrebbe sia sulla società sia sugli azionisti.

 

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