Nelle stesse ore in cui Carlos Tavares, Ceo di Stellantis, si trovava in Italia e più precisamente a Torino per presentare l’hub gobale per i veicoli commerciali Pro One e assicurava che “dall’elettrico non si torna indietro” (tuttavia sulla gigafactory di Termoli con Quattroruote si rivelava comunque lapidario: “Non investiremo in capacità che non utilizzeremo, sarebbe un bagno di sangue”), a Roma al ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) consideravano esauriti i termini dell’ultimatum che il ministro Adolfo Urso aveva lanciato dal palco di Rimini in agosto, dirottando altrove i fondi del Pnrr destinati al nuovo stabilimento di batterie di Acc – Automotive Cells Company, la joint venture tra Stellantis, Mercedes-Benz e TotalEnergies.
OCCASIONE PERSA PER TUTTI?
Un colpo di spugna bello e buono frutto però di un ultimo vertice e non di una bizza governativa, al quale erano presenti oltre al ministro Adolfo Urso, i rappresentanti di Acc e Stellantis, il presidente della Regione Molise e i sindacati confederali e di categoria.
Per il momento si conclude con una vigorosa fumata nera da motore a scoppio – l’ennesima – la progettazione della sola gigafactory per la nuova mobilità a zero emissioni prevista per il nostro Paese, alla quale il governo era ansioso di partecipare con oltre 250 milioni di euro, che saranno messi su altri progetti.
Acc del resto è stata irremovibile. Inutile uno sprint ora, al buio, considerati “il mutato contesto di mercato dell’auto elettrica, i dubbi sulla domanda futura di componenti per l’industria automotive e la possibilità di adottare nuove tecnologie produttive per la realizzazione di batterie meno costose del 20-30%”.
Un arresto che vede uscire dall’incontro nessun vincitore, tutti sconfitti: il governo, che sulla mobilità elettrica non riesce ad attrarre investitori (anche alternativi a Stellantis) nonostante gli sforzi dell’ultimo anno, il gruppo guidato da Carlos Tavares che perde così la sua seconda gigafactory europea attraverso Acc e naturalmente il Molise, con nuvoloni neri carichi di dubbi, interrogativi e domande senza risposta che si addensano sul futuro dell’impianto di Termoli. Un impianto che produce ancora i motori endotermici che la Ue vorrebbe vietare da qui a stretto giro.
E poi naturalmente c’è il tema dello smottamento che questa vicenda, così tanto tirata per le lunghe da ambo le parti, crea nella delicata impalcatura del Pnrr questo cambio di destinazione dei fondi: tanti e sulla carta non così facilmente allocabili. Servono infatti progetti altrettanto validi. Occorrerà vedere se ci sono.
QUANTO COSTA LA GIGAFACTORY STELLANTIS DI TERMOLI
Il nuovo impianto sarebbe dovuto costare non meno di 2,3 miliardi tra parte industriale e di ricerca, di cui 370 milioni sarebbero stati coperti con finanziamenti pubblici attraverso uno specifico contratto di sviluppo, con 252 milioni particolarmente urgenti da assegnare in quanto presi dai fondi europei post pandemia del Pnrr che, è noto, hanno tempistiche assai strette per evitare sperperi.
E dato che la posa per la prima pietra era attesa prima dell’estate, per il mese di giugno, si comprende la fretta dell’esecutivo, tanto più che Acc, che aveva in programma tre hub in Francia, Germania e Italia per non scontentare nessuna delle tre anime della jv – Total, Mercedes-Benz e Stellantis – dopo Douvrin ha iniziato a prendere tempo sugli altri impianti, mossa peraltro comprensibile a fronte di una domanda per le elettriche che non decolla.
LA MANO TESA DELL’ESECUTIVO
La partita, parallela a quella che vede Stellantis e governo fronteggiarsi con ben altri toni sul fronte occupazionale, in questo nuovo tempo si caratterizza per una certa distensione di nervi. L’esecutivo, riconoscendo che il periodo non è dei più adatti per investire, assicura infatti Tavares e la compagine di investitori della jv che permane “la disponibilità a valutare di destinare ulteriori fondi, di altra natura, quando Acc sarà in grado di presentare il nuovo piano industriale per Termoli comprensivo della nuova tecnologia”.
Quel che è certo, è che nonostante l’ultimatum della Ue, sempre più produttori nicchiano sulla mobilità elettrica: si guarda insomma alla nuova Commissione nel tentativo di strappare roadmap più realistiche e attente alle esigenze degli industriali. Esigenze che paradossalmente non sembrano più care a Tavares che nell’ultimo periodo ripete: “Sull’elettrico siamo pronti, non si può tornare indietro”.