Nessuna maestranza italiana e nemmeno occidentale per la costruzione della gigafactory di batterie elettriche che Stellantis, gruppo automobilistico nato dalla fusione tra Fca e Psa, realizzerà in joint venture con la cinese Catl (principale produttore di batterie al mondo) in Spagna, per la precisione a Saragozza.
L’IMPIANTO SPAGNOLO DI STELLANTIS E CATL
L’impianto da oltre 4 miliardi per la mobilità elettrica, la cui realizzazione è sostenuta anche da 298 milioni di fondi europei del Next Generation Eu (il governo spagnolo ha destinato in larga parte il Pnrr nazionale all’industria dell’auto che costituisce una costola economica fondamentale per il Paese: nel 2024 la penisola iberica ha sfornato 2.359.973 veicoli), verrà realizzato accanto alla fabbrica di Stellantis che oggi produce Opel, Peugeot e Lancia (a breve inizierà a sfornare auto elettriche cinesi Leapmotor) da una manodopera interamente cinese che sarà importata in loco.
SOLO MANODOPERA CINESE?
Duemila operai cinesi sono probabilmente troppi per non attrarre le attenzioni della stampa occidentale, sorpresa dal fatto che, senza maestranze locali, Stellantis almeno nella fase di realizzazione della gigafactory sembri destinata esclusivamente a finanziare l’opera.
Scrive il Financial Times che per primo ha riportato la notizia: “Il massiccio movimento di manodopera, che ricorda l’invio di lavoratori cinesi per costruire infrastrutture in Africa, evidenzia le grandi lacune nelle competenze e nel know-how dell’Europa nel campo delle batterie per veicoli elettrici”.
GLI OBIETTIVI DEL NUOVO HUB
Insomma, un Vecchio continente colonizzato dalla Cina. La sola che sappia procedere alla velocità della luce, peraltro. L’obiettivo, avevano comunicato lo scorso dicembre le due aziende in una nota, è quello di iniziare la produzione entro la fine del 2026. L’hub a regime dovrebbe raggiungere una capacità di 50 GWh di batterie al litio-ferro-fosfato (LFP), “a seconda dell’evoluzione del mercato elettrico in Europa e del continuo sostegno delle autorità in Spagna e dell’Unione Europea”.
CATL GELOSA DEL SUO KNOW HOW?
La vicenda, proseguono dal Ft, “ha sollevato interrogativi sulla volontà di Catl di condividere i suoi segreti industriali a vantaggio della popolazione e delle aziende locali, nonché sulla futura vulnerabilità dell’Europa nei confronti della Cina”.
Catl, che sta inoltre costruendo una fabbrica più grande da 7 miliardi di euro in Ungheria nei cui cantieri sarebbero al lavoro un numero imprecisato di dipendenti specializzati provenienti dall’estero, “afferma di essere impegnata a reclutare e formare lavoratori locali per gestire la fabbrica spagnola una volta completata, come ha fatto per una fabbrica di batterie in Germania che ha iniziato la produzione nel 2022”, si legge sempre sul Ft, ma è innegabile che i fatti suggeriscano una interpretazione opposta.
POCA COMUNICAZIONE TRA OCCIDENTE E ORIENTE?
La Spagna è stata attratta dal progetto perché a regime prevede l’impiego di 3mila persone. Catl di contro rafforzerà il presidio sul nostro mercato eludendo i dazi di Bruxelles. Una convivenza necessaria per entrambe le parti, coi cinesi però che non sembrano voler rivelare agli europei i “trucchi del mestiere” acquisiti in anni e anni di sviluppo delle tecnologie più avanzate che oggi muovono le loro auto elettriche, oggettivamente impareggiabili per prestazioni e costi.
Una situazione che mette il partner occidentale in una situazione di oggettivo imbarazzo, tanto più per via del fatto che Catl dall’inizio dell’anno figura nella lista nera del Pentagono delle aziende ritenute intenzionate ad avere legami con l’esercito cinese (accuse che l’azienda ha sempre respinto al mittente). Scott Bessent, Segretario al Tesoro degli Stati Uniti, ha avvertito Madrid all’inizio di quest’anno che un allineamento più stretto con la Cina “avrebbe significato tagliarsi la gola”.
IMPIEGATI STELLANTIS TENUTI ALL’OSCURO DELLE MOSSE DI CATL?
“Non credo che i cinesi vogliano condividere il loro know-how con noi”, ha affermato laconicamente al Ft José Juan Arceiz, dipendente di Stellantis e segretario del comitato aziendale europeo. “Temo che non vogliano fornirci le competenze necessarie per avviare una fabbrica di batterie” in autonomia. Un bel problema per l’Europa, che sulla mobilità europea non tocca palla e ha appena perso Northvolt, fresca di acquisizione da parte della statunitense Lyten.
L’esatto opposto di quanto accaduto in Cina negli ultimi quarant’anni coi colossi europei dell’auto che attratti dall’irrisorio costo della manodopera potevano aprire nel Paese asiatico i propri stabilimenti solo a patto di avviare jv con industrie locali con le quali condividere i propri segreti industriali. La situazione si è ribaltata nel giro di pochi decenni e l’Europa ora non è più quella che comanda, porta know how, capitali e posti di lavoro.