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Moby, tutti i disastri

Il crac di Moby vale 200 milioni: tutto a banche e obbligazionisti. L'articolo di Fabio Pavesi per Affaritaliani

Dimagrire (e molto) per sopravvivere, ma soprattutto far pagare a banche e obbligazionisti i propri passi falsi. Sta tutto qui il piano di concordato preventivo in continuità presentato dalla Moby, la compagnia di traghetti della famiglia Onorato. Il passo del concordato è l’unica mossa inevitabile per scongiurare un crac ormai più che evidente.

Solo nel 2019 Moby ha chiuso un bilancio terribile. Una perdita netta di 198 milioni su un fatturato di 271 milioni con un patrimonio netto andato in rosso per la bellezza di 145 milioni. E complice il Covid i dati (gli ultimi disponibili) a giugno del 2020 sono ulteriormente peggiorati. I ricavi del semestre sono crollati a 65 milioni con una perdita salita a 298 milioni e il patrimonio finito sottozero per la cifra monstre di 444 milioni.

IL DISASTRO CHE VIENE DA LONTANO

Un disastro da cui si potrà (forse) uscire solo con una cura choc. Il concordato prevede infatti la vendita della divisione rimorchiatori oltre a 5 traghetti della flotta. Ma ovviamente la cessione non è sufficiente a ripianare il maxi debito accumulato nel tempo che solo a livello finanziario vale 460 milioni, di cui 160 milioni in capo alle banche e 300 milioni sono il bond lussemburghese in scadenza nel 2023. Senza flussi di cassa quei 460 milioni di debiti finanziari non possono essere ripagati.

IL RIFUGIO NEL CONCORDATO

E allora la famiglia Onorato non può che rifugiarsi nelle more del concordato chiedendo a banche e obbligazionisti di rinunciare a parte della propria esposizione. Un sacrificio che vale più della metà delle risorse concesse da banche e bondisti. Tra privilegio e debiti chirografari al ceto bancario dovrebbero tornare 73 milioni sui 160 di esposizione, mentre per i detentori del bond da 300 milioni dovrebbero essere rimborsati, se il piano avrà successo, solo 147 milioni.

In totale su un’esposizione complessiva debitoria, oltre alle banche e ai bondisti di 536 milioni il piano di rimborso nel tempo dovrebbe garantire 255 milioni non di più. E’ il sacrificio che viene sempre chiesto ai creditori quando si propone un piano concordatario.

QUELL’ERRORE DELL’ACQUISTO A DEBITO DI TIRRENIA

Già ma come mai il più grande gruppo di navigazione italiano è finito in acque così basse? La famiglia incolpa della crisi la pandemia e la concorrenza spietata sui prezzi da parte del Gruppo Grimaldi. Ma la realtà è ben diversa. A far finire a gambe all’aria la compagnia di Vincenzo Onorato, più che il Covid e il mercato è stato un peccato veniale grave.

Essersi pesantemente indebitato nel lontano 2015-2016 per rilevare il 100% di Cin, la Compagnia iIaliana di Navigazione,  che aveva rilevato l’ex Tirrenia in amministrazione straordinaria. Il peccato originale si chiama Leverage buy out, essersi cioè stra indebitati per acquisire l’ex Tirrenia e quindi quote di mercato. Un passo lungo della gamba molto avventato se letto a posteriori.

NEL 2016 BILANCIO GIA’ CARICATO DI MAXI-DEBITO

Nel 2016 il bilancio di Moby cambia drasticamente pelle. La compagnia si carica di ben 300 milioni di euro di debiti in virtù dell’emissione del bond. Le passività nell’arco di un solo anno raddoppiano a 611 milioni da 284 milioni del 2015. Un bel peso per un gruppo che fa poco meno di 250 milioni di ricavi, con un margine lordo di soli 46 milioni. Quel macigno caricato dagli Onorato sulle spalle dei traghetti Moby finirà per zavorrare per sempre la compagnia.

Che si trova a pagare interessi sul debito che da soli mandano in rosso il margine operativo netto, in perdita per la prima volta. Da allora complice ricavi poco tonici Moby continuerà a inanellare perdite, fino al buco record di 198 milioni del 2019.

MOBY, IL BANCOMAT DI FAMIGLIA

Ma il patron Vincenzo Onorato ci ha anche messo del suo. Nella memoria che accompagna la proposta di concordato vengono ripercorsi i passaggi di denaro tra Moby e la famiglia Onorato.

Rapporti tra parti correlate non sempre limpidi. Solo per citare alcune transazioni rilevate dalla memoria, ecco l’acquisto da parte di Moby nel 2017 di un immobile in piazza San Babila a Milano per 7 milioni di euro intestato a Vincenzo Onorato. Trasferimenti di denaro di incerta natura dalla società a Onorato per 232 mila euro. E ancora le maxi-remunerazioni a componenti del consiglio di amministrazione di Moby, tra cui lo stesso Vincenzo Onorato, nel periodo 2015-2019, ben più alte di società comparabili.  E ancora il pagamento di auto di lusso per 600 mila euro; i canoni di un jet a disposizione dei manager.

LA TRIANGOLAZIONE MOBY-CIN-FRATELLI ONORATO

Infine ci sono rapporti di triangolazione tra la F.lli Onorato, società costituita nel 2017 dai figli di Vincenzo, Alessandro e Achille, la Cin e la Moby stessa nel noleggio di scafi. Come ricostruito dagli estensori del concordato nel periodo 2015-2019 quando la crisi di Moby cominciava a palesarsi e ad acuirsi ogni anno che passava, la stessa Moby ha ricevuto da Cin e poi trasferiti alla F.lli Onorato risorse per 47,8 milioni di euro. Soldi finiti alla società di famiglia.

I SOLDI A GRILLO E CASALEGGIO

Non solo ma Onorato finanziava con soldi della società partiti e movimenti politici: a Beppe Grillo srl un contratto pubblicitario da 120 mila euro annui per 2 anni; 600 mila annui alla Casaleggio Associati; altri 400 mila euro a partiti politici vari; 2,8 milioni alla società del jet privato; 600 mila euro di noleggio di auto di lusso. Sempre soldi che uscivano dalle casse della Moby.

POCHI SPICCIOLI IL SACRIFICIO DELLA FAMIGLIA

Ora che il disastro è compiuto il presidente Vincenzo Onorato ha deciso di rinunciare al suo compenso come presidente del board di Moby pari a 3 milioni annui per un periodo di 4 anni. E la famiglia tramite la Onorato Armatori srl socio unico di Moby parteciperà al sacrificio per il salvataggio con 2 milioni di euro.

Un sacrificio meramente simbolico da poche decine di milioni di euro da parte di Onorato e della sua famiglia. Una goccia nel mare di 460 milioni di debiti finanziari per soddisfare la sete di acquisizioni, in cui sta annegando da tempo l’ex regina dei traghetti.

Articolo pubblicato su Affari Italiani, qui la versione integrale

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