Se ne parla almeno dal 2017. Avrebbe dovuto rappresentare la transizione elettrica del marchio e diventare un emblema tanto quanto l’originale entrato nell’immaginario collettivo. Invece i listini dimostrano solo che la nuova tecnologia è elitaria a tal punto da aver fatto dimenticare a Volkswagen l’etimologia stessa del proprio brand: auto del popolo. Ecco perché ora, in piena crisi industriale, la dirigenza vuole aggiustare le vendite dell’ID.Buzz, la versione elettrica del Bulli.
ID.BUZZ, NON UN VAN DA SQUATTRINATI
Anche se i più lo associano al movimento dei figli dei fiori, il Bulli originale – nome ufficiale: Volkswagen T1 – risale all’immediato Dopoguerra. Era un furgoncino pensato per il trasporto urbano, la cui comodità dell’abitacolo e la cui potenza del motore non avrebbero suggerito certo di compierci viaggi più impegnativi.
Invece, complice il costo estremamente accessibile, divenne simbolo di un intero movimento, tanto da arrivare a sfrecciare sulle sterminate strade americane e imporsi nei filmati del concerto di Woodstock del 1969. Non era comodo ma era capiente, non era bello ma permetteva di viverci dentro, non era potente ma anche chi si manteneva a stento con lavoretti saltuari riusciva a permetterselo, magari di seconda o terza mano.
LA RINASCITA DEL VAN VOLKSWAGEN?
Esattamente come la Mini inglese o l’italianissima Fiat 500 che in anni più recenti sono state tirate fuori dal dimenticatoio per diventare ricercati emblemi di stile retrò, Volkswagen ha provato a trasformare questo furgoncino della seconda parte del ‘900 in qualcosa di nuovo. Aveva già provato a fare qualcosa di simile col New Beetle del 1997 e non andò benissimo: la riedizione del Maggiolino non toccò nemmeno il milione di esemplari prodotti.
Ci sta riprovando ora con l’ID.Buzz e a quanto pare le cose stanno andando pure peggio. Il simbolo dell’elettrizzazione di Volkswagen concretizza, più che un nuovo movimento green e amante degli alberi, le numerose difficoltà industriali riscontrate dal marchio tedesco con la nuova propulsione. Difficoltà alla base della crisi in cui versa il Gruppo nell’ultimo periodo. L’ID.Buzz infatti costa tantissimo: dai 50mila euro in su. Inavvicinabile poi la versione Gtx.
CHI COMPRA L’ID.BUZZ?
Con simili listini, impossibile che l’ID.Buzz sia il vero erede del van Volkwagen: non può diventare né il mezzo per i grand tour di universitari squattrinati né la macchina di lavoro per chi fa consegne in città. Se ne è accorto pure il marketing che nelle pubblicità ha velocemente sostituito i ragazzi amanti del tofu e delle pratiche new age con famiglie e guidatori brizzolati: alcune di queste persone attempate saranno anche state hippie un tempo, chissà, di certo ora vestono bene e hanno la possibilità di spendere 60mila euro per una specie di familiare elettrica.
La domanda dunque è: “chi compra l’ID.Buzz?” Famiglie? Dirigenti? La risposta è: al momento nessuno. Volkswagen era stata molto cauta con le prospettive di vendita fissando l’asticella a 120mila vetture, cifra però che rischia di essere drammaticamente disattesa.
L’ID.BUZZ TRASLOCA IN POLONIA?
Per questo, secondo i media tedeschi, ora Volkswagen starebbe pensando di trasferire la produzione in Polonia così da abbassare i prezzi e rendere l’ID.Buzz un pochino più invitante.
LO STABILIMENTO DI HANNOVER A RISCHIO?
Ma la decisione rischia di ipotecare il futuro dello stabilimento di Hannover, su cui peraltro il marchio aveva investito non poco per ammodernarne le linee e predisporlo alla mobilità elettrica (può sfornare 130mila vetture annue), con corsi di formazione per i quasi 4mila operai che lavorano al nipotino elettrico del Bulli.
Negli anni passati era stato pure predisposto che oltre all’ID.Buzz e al Multivan l’hub accogliesse tre Suv elettrici. A quanto pare rimandati a data da destinarsi, dato che le nuove propulsioni non hanno mercato. Costruito 67 anni fa, l’impianto di Hannover che fu culla del mitico Van Volkswagen T1 essendo ben collegato sia alle linee fluviali sia a quelle ferroviarie, rischia di non vedere la fine del 2025.
La passata dirigenza vi aveva destinato buona parte dei 21 miliardi messi a disposizione per il rifacimento degli hub tedeschi anche al fine di ridurre del 50% entro il 2025 l’impatto ambientale per arrivare gradualmente ad azzerarlo per il 2050. Ora però si rischia di azzerare le emissioni della fabbrica già nei prossimi mesi, chiudendolo per sempre.