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SsangYong

La SsangYong torna coreana. Al volante il conglomerato KG che finanzierà la transizione verso l’elettrico

La SsangYong Motor Company era stata sottoposta, per la seconda volta nel giro di un decennio, a una procedura di amministrazione controllata e sembrava destinata a chiudere. Una nuova cordata di investitori è pronta a mettere sul piatto 700 milioni di euro per permettere alla Casa coreana di abbracciare con convinzione la transizione verso la mobilità elettrica

Non sarà uno dei marchi più noti in Occidente, ma in realtà i suoi veicoli sono comparsi anche sulle strade italiane, sebbene si contino sulle dita di una mano. SsangYong, che in coreano significa “coppia di dragoni”, nasce nel 1954 come Hadonghwan Motor Company, per poi arenarsi una prima volta nel 2010 e in modo ancora più serio e gravoso nei difficili mesi della pandemia.

Con le restrizioni per Covid e mezzo mondo in lockdown, l’ex controllante, l’indiana Mahindra, nella primavera del ’20 aveva difatti deciso di cancellare il piano di rilancio che si era reso necessario dopo un triennio particolarmente duro per la Casa coreana e di bloccare, quasi del tutto, l’erogazione delle risorse finanziarie necessarie per sostenere le attività della controllata di Pyeongtaek, che era arrivata a contare appena 4mila dipendenti.

La SsangYong Motor Company sembrava l’ennesima vittima economica del Coronavirus, invece, dopo oltre 12 mesi di amministrazione controllata, il tribunale fallimentare di Seul pare aver trovato una soluzione che soddisfi creditori e azionisti, approvando il piano di rilancio presentato dal gruppo KG, un conglomerato coreano attivo in diversi settori, tra cui la siderurgia, la chimica e il franchising.

CHI HA SALVATO SSANGYONG

KG guida un pool di investitori che ha ha visto la partecipazione di altri operatori industriali e finanziari (Ssangbangwool e Pavilion Investment Corp – Private Equity) e che, a seguito di una contesa legale, acquisiranno il 61% del capitale della SsangYong avviando così il programma di risanamento dal valore totale di 950 miliardi di won (circa 700 milioni di euro al cambio attuale) approvato dal giudice, comprensivo degli investimenti necessari per far ripartire le attività di ricerca e sviluppo e quelle meramente operative, nella speranza di far riprendere quota alla coppia di dragoni. Si tratta di una cifra di tutto rispetto, che quasi raddoppia i finanziamenti che gli indiani avevano deciso di togliere dal piatto oltre 2 anni fa.

COSA SI SA SUL PIANO DI RILANCIO

Il piano, che ha avuto l’imprimatur del tribunale fallimentare, era già stato approvato dalla maggioranza dei creditori, dei soci di minoranza e dalle autorità antitrust coreane e prevede, in particolare, l’avvio di una nuova fase di sviluppo, inizialmente incentrata sul lancio della nuova Suv a sette posti, la squadratissima (e molto anni ’90, almeno nelle linee, per ammissione degli stessi coreani) Torres.

Il nuovo veicolo si andrà a posizionare tra la Korando e la Rexton e con la prima condivide il pianale e il propulsore 1.5 T-GDI con 163 CV abbinato a un cambio automatico a 6 rapporti e alla trazione integrale. In Europa, però, arriverà solo la variante elettrica con una potenza di 188 CV e autonomia di poco più superiore a 320 km. Per la chiusura dell’intera operazione e l’ok definitivo alla nuova era di rilancio, mancano solo gli ultimi passaggi tecnici: il perfezionamento è previsto per il 15 ottobre prossimo.

L’ADDIO DEGLI INDIANI

Come si anticipava, i guai per la Casa coreana erano iniziati nella primavera del 2020 quando, in piena pandemia, la controllante indiana aveva deciso di sbarazzarsene: “Dopo lunghe deliberazioni basate sui flussi di cassa attuali e prospettici, il consiglio di amministrazione della Mahindra & Mahindra ha stabilito di non essere in grado di iniettare nuovi capitali nella SsangYong Motor e ha sollecitato la SsangYong Motor a trovare fonti alternative di finanziamento”, il ferale comunicato del gruppo indiano, ancora rinvenibile sul sito web.

IL SECONDO MANCATO FALLIMENTO

Mahindra possedeva il 74,65% del capitale di SsangYong da esattamente 10 anni, avendola salvata dal fallimento nel 2010. Da allora la coppia di dragoni non era comunque riuscita più a riprendere quota, anzi, i dati finanziari dell’ultima decade mettono in evidenza soprattutto vendite in calo e perdite sempre maggiori. Per la precisione, quando gli indiani hanno staccato la spina, le vendite risultavano in calo di oltre il 30% (107.416 veicoli), i ricavi in contrazione del 19% e una perdita operativa passata da 282 miliardi di won a 449 miliardi (336 milioni di euro).

Ma a dare il colpo di grazie è stato il Covid, che ha portato Mahindra a essere più cauta negli investimenti. Era così finito in coriandoli l’assegno da 390 milioni di euro precedentemente annunciato per riportare in utile, entro il 2022, la SsangYong Motor. Quella somma avrebbe permesso alla Coreana di abbracciare con convinzione il mercato elettrico, che avrebbe preso il via con la versione “alla spina” della Korando, mentre la chiusura dei rubinetti indiani l’aveva lasciata esposta nei rapporti coi creditori. SsangYong, nel luglio dello stesso anno doveva infatti rimborsare un prestito alla Korea Development Bank di oltre 60 milioni di euro. Da parte sua, Mahindra & Mahindra si era limitata a staccare un assegno, assai più modesto, da 30 milioni.

Per questo, nel dicembre dello stesso anno, ai dirigenti della SsangYong Motor non era restato altro da fare se non presentare nuovamente un’istanza, la seconda in dieci anni, per accedere alla procedura concorsuale, così da sottoporre l’azienda alla liquidazione coatta amministrativa con l’obiettivo di trovare una società in grado di sostituire nella proprietà il gruppo indiano. L’arrivo, in zona Cesarini, dei coreani ha salvato una Casa che tra due anni festeggerà i primi 70 anni di attività e riportato all’interno dei confini nazionali la maggioranza di capitale.

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