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L’Italia ha paura del mare?

“L’Italia ha paura del mare - Reportage e saggi dai confini della Penisola” di Francesco Maselli (NR edizioni) letto da Tullio Fazzolari

Nella retorica del ventennio fascista gli italiani sono un popolo di “santi, poeti, artisti e navigatori”. Niente da eccepire su poeti e artisti. E anche sui santi nonostante qualche appropriazione più o meno legittima visto che sant’Antonio da Padova in realtà era nato in Spagna e sant’Ambrogio da Milano veniva dalla Germania. Ma sul popolo di navigatori ci sarebbe parecchio da discutere. Ci sono stati certo grandissimi personaggi ma, guarda caso, quasi tutti (da Cristoforo Colombo a Giovanni Caboto) per realizzare le loro imprese hanno dovuto emigrare e mettersi al servizio di potenze straniere. Basterebbe questo per avere la sensazione che in Italia il talento marinaresco non è mai stato apprezzato quanto merita. E forse non si tratta di una semplice disattenzione ma è il riflesso di un disagio psicologico.

Francesco Maselli con “L’Italia ha paura del mare” (NR edizioni, 200 pagine, 18 euro) fa emergere il difficile rapporto che la stragrande maggioranza degli italiani ha con il mare. Il “popolo di navigatori” resta una scritta scolpita in maniera indelebile sui marmi dell’EUR ma niente di più. Al Nord come al Sud l’atteggiamento più diffuso è quello di una istintiva diffidenza e somiglia fin troppo a quello descritto da Paolo Conte nel suo capolavoro “Genova per noi”. Del mare si parla abbastanza poco e spesso con toni critici. Capita ogni tanto che ci si esalti per le imprese di imbarcazioni come “Luna rossa” ma è molto più frequente che l’argomento sia l’aumento del prezzo di lettini e ombrelloni. Tirando le somme, noi italiani più che navigatori siamo un popolo di turisti balneari.

Il libro di Francesco Maselli è l’interessante reportage di un viaggio lungo un paese che vanta circa ottomila chilometri di coste ma che raramente riesce ad avere un buon rapporto con la distesa d’acqua che ha davanti. Sopravvivono piccoli borghi di pescatori e sarebbero quasi da considerare una specie protetta. Ma tutto intorno e perfino fra gli abitanti delle isole prevale la diffidenza verso il mare. Resta ben poco di industrie importanti come quella del tonno che a Favignana, grazie all’impero economico dei Florio, aveva un peso paragonabile a quello della Fiat a Torino. Ci sono città portuali che languono e altre come Trieste stanno lentamente recuperando terreno. Ma, anche in questo caso, il merito del popolo di navigatori è marginale. A risollevare il porto è soprattutto la posizione geografica di Trieste che ne fa uno snodo fondamentale per l’Europa centrale come ai tempi dell’impero asburgico. Alla fine, il lungo viaggio che Maselli compie attraverso le coste italiane non racconta soltanto il presente ma è anche un brillante riassunto della nostra storia marinara che sin dagli inizi non è mai stata facile. I navigatori venivano per lo più da fuori come greci e fenici ma gli antichi romani hanno cominciato ad andare per mare soltanto perché dovevano affrontare i cartaginesi. E le repubbliche marinare pur dominando i commerci nel Mediterraneo poi si lasciavano sfuggire i navigatori oceanici più geniali. Per colpa della “paura del mare” forse l’Italia ha perso qualche occasione.

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