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Germania

Ecco come l’Italia può inserirsi sulla scia della Germania nella trattativa europea per la frenata alle auto elettriche

La Germania ha trovato un accordo con la Commissione europea su carburanti sintetici e auto elettriche? L'approfondimento di Sergio Giraldo

 

Una trattativa in corso dietro le quinte tra la Germania e la Commissione europea rischia di lasciare l’Italia isolata sulla questione del bando alle emissioni di CO2 nei trasporti leggeri dal 2035.

In una lettera scritta da Christoph Burmeister, capo di gabinetto del ministro dei trasporti tedesco Volker Wissing, e indirizzata all’olandese Diederik Samsom, capo di gabinetto del Commissario europeo Frans Timmermans, si delinea un accordo in itinere tra il governo tedesco e la Commissione. La lettera, inviata giorni fa, delinea una strategia per arrivare al risultato che il governo tedesco vorrebbe raggiungere e che sembra molto vicino. In che modo? Evitando di ridiscutere l’atto principale, già approvato dal trilogo e che ora necessita del voto a maggioranza del Consiglio europeo, per agire invece sulla normativa di contorno.

“Accogliamo con favore la tua proposta di creare tempestivamente una categoria di veicoli separata esclusivamente e-fuel” scrive infatti Burmeister al funzionario europeo, dal che si evince che l’idea sarebbe arrivata addirittura dalla Commissione e non dalla Germania. Per fare questo, il governo tedesco pensa di aggiungere nell’attuale classificazione Euro 6 i veicoli alimentati a e-fuels (carburanti sintetici, cioè in sostanza l’idrogeno). Si tratterebbe dunque di intervenire emendando norme già esistenti.

L’INCLUSIONE DEGLI E-FUEL

In tre punti, Burmeister descrive l’iter necessario per arrivare a comprendere gli e-fuel all’interno del quadro normativo:

  1. l’aggiunta di una procedura di omologazione di nuovi veicoli alimentati con e-fuel alla attuale legislazione che regola i motori Euro 6;
  2. un atto delegato che permetta di conteggiare i veicoli 100% e-fuel negli obiettivi che le case automobilistiche devono rispettare sull’abbattimento delle emissioni di CO2;
  3. la definizione di carburanti 100% CO2-neutrali con appropriato atto normativo.

In questo modo la Germania otterrebbe di avere ricompreso le auto a idrogeno nel pacchetto che lancia l’auto elettrica così come già approvato. Nella lettera, l’alto funzionario tedesco sottolinea l’urgenza e chiede espressamente che non ci siano ulteriori negoziazioni tra Parlamento e Consiglio: “Se non fosse utilizzabile la base giuridica Euro 6, siamo aperti a una controproposta, purché si tratti di un atti giuridico completo, senza obbligo di attivazione di Parlamento e/o Consiglio”.

LA GERMANIA LASCIA INDIETRO L’ITALIA

Dunque, come sempre accade, la Germania lavora sottotraccia pro domo sua, senza occuparsi granché della posizione italiana. La minaccia del voto contrario tedesco in Consiglio nei giorni scorsi serviva unicamente a prendere tempo, per salvaguardare gli ingenti investimenti già effettuati dalle case automobilistiche tedesche sull’utilizzo dell’idrogeno come combustibile. Il nostro governo invece aveva evidenziato la necessità di riflettere più a lungo sul passaggio alle auto elettriche, preoccupato per l’impatto negativo sul settore automotive nazionale.

COSA PUÒ FARE L’ITALIA PER DIFENDERE I BIOCOMBUSTIBILI

All’Italia, a questo punto, resterebbe solo da giocare la carta dei bio-combustibili.  Scavalcato dalla Germania, al nostro governo rimane la sola timida aspettativa di difendere i bio-fuel (combustibili prodotti da vegetali o scarti di lavorazione agricola), settore in cui Eni, ad esempio, è al lavoro da molti anni e che è neutrale nel bilancio CO2. I bio-fuel sono già compatibili con gli attuali motori a scoppio e questo consentirebbe di lasciare in vita le catene produttive automobilistiche attuali.

Tutto però si gioca su una parola. Nell’atto principale della Commissione approvato dal Parlamento Ue, infatti, non si dice che sono vietate le auto con motore a combustione interna, ma che le auto dovranno emettere zero CO2. Tutto sta ad accordarsi su cosa significa “emettere”. Nel caso del biodiesel, infatti, emissioni di CO2 dal motore ci sono, ma si tratta della stessa CO2 che è stata assorbita nel ciclo di vita delle piante da cui è ricavato il combustibile, dunque nel complesso il bilancio delle emissioni di CO2 si chiude a zero. Nel caso di auto a idrogeno invece non c’è alcuna emissione di CO2, ma semmai di vapore acqueo (che contribuisce all’effetto serra più della CO2, ma questa è un’altra storia).

Che tutto si giochi sulla parola “emettere” è confermato anche dall’intervista rilasciata dallo stesso Commissario europeo Frans Timmermans due giorni fa. Dopo aver laicamente preso le distanze dalle scelte tecnologiche (“Il motore termico non scomparirà dopo il 2035, sarà l’industria a scegliere le tecnologie migliori”) Timmermans conferma che sia in atto una trattativa con il governo tedesco: “La Germania ci ha detto che vuole l’implementazione dell’accordo che abbiamo raggiunto. Ora si è aperta una trattativa, sono sicuro che troveremo una soluzione.” Dopodiché, il commissario europeo afferma che “dal 2035 le macchine prodotte in Europa saranno a zero emissioni. Il futuro sono le macchine senza emissione di CO2. La Commissione ha indicato solo l’obiettivo, zero emissioni”.

Dunque, la sola possibilità per l’Italia di salvare almeno parte dell’industria italiana dell’auto sarebbe quella di sposare la posizione tedesca, facendo però in modo di trattare i bio-combustibili alla stessa stregua degli e-fuels, equiparando idrogeno e bio-diesel nella nuova classificazione Euro 6. Si tratta cioè di estendere la definizione di “zero emissioni” anche ai combustibili CO2-neutrali.

Si tratta comunque di un tentativo estremo che, se anche fosse coronato da successo, non garantirebbe alcunché. È infatti molto difficile che tutte le case automobilistiche decidano di mantenere in piedi, in parallelo, due sistemi costruttivi diversi e due standard diversi. Anche se non è la soluzione migliore in assoluto, l’auto elettrica appare ormai lo standard vincente.

È l’ennesima dimostrazione del fatto che i treni normativi che originano a Bruxelles, una volta partiti, sono difficilissimi da fermare. Soprattutto quelli che trasportano brutte sorprese per il nostro paese.

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