È il giorno di Natale quando sui social cominciano a circolare un paio di immagini provenienti dalla Cina; in esse compare una normale unità mercantile sul ponte di carico della quale si distinguono però una serie di container dall’aspetto ben poco convenzionale. In poco tempo, quelle immagini attirano l’attenzione degli analisti e diventano oggetto di approfondimento.
Procedendo con ordine, la nave in questione è la Zhong Da 79 e cioè una “anonima” portacontainer di cui si sa davvero pochissimo, se non che viene utilizzata solo per il traffico mercantile interno alla Cina. Altra notizia accertata è che quest’anno per alcuni mesi è scomparsa da qualsiasi sistema di tracciamento perché impegnata in lavori di refit in un cantiere di Longhai, per poi riapparire ormeggiata a una banchina dei cantieri Hudong–Zhonghua Shipbuilding di Shangai.
Ed è qui che avviene la scoperta in oggetto, con le immagini di cui si parlava che rivelano delle “anomalie”; i container infatti posizionati a prua ospitano sulla propria sommità un sistema di difesa di punto Type 1130 da 30 mm e 4 lanciarazzi per inganni/esche (2 per lato) Type 726. A poppa (subito davanti la sovrastruttura della nave) ulteriori container ospitano sempre sulla loro sommità un radar e altri “dome” che potrebbero accogliere sistemi di comunicazione/scambio dati o altri sensori. Nel mezzo, infine, 3 file composte da 5 container; ciascuno dei quali con un lanciatore quadruplo elevabile per il lancio di missili.
MA DI COSA SI TRATTA?
Davvero difficile dare una risposta definitiva; addirittura, si potrebbe pensare anche a una sorta di “fake”, allestito per chissà quale ragione. Volendo tuttavia escludere questa teoria, l’ipotesi più realistica che rimane in campo è quella di uno sforzo da parte della Cina per sperimentare concetti non totalmente nuovi ma, comunque, discretamente innovativi. Altrimenti detto, il ricorso a moduli per l’appunto containerizzati contenenti sensori e/o sistemi d’arma, che le per loro caratteristiche peculiari possono essere installati e disinstallati con facilità sia su unità militari, sia (come in questo caso) su navi civili.
Difficile scendere ancora più nel dettaglio di quanto osservato. Giusto il tempo di evidenziare che attraverso questa configurazione, in pratica la Zhong Da 79 si trasforma in una (quasi) nave da guerra; dotata di sistemi di difesa attiva e passiva, di propri sensori e sistemi di comunicazione e, soprattutto, di un gran numero di missili dato che la somma finale è di 60. Missili potenzialmente di vario tipo; antinave e/o per l’attacco a terra principalmente (per esempio, CJ-10, YJ-18, YJ-21?) ma non si può escludere che possano essercene anche altri per la difesa aerea (HHQ-9?). Un arsenale dunque davvero notevole!
Ovviamente, la questione non è così semplice; nel senso che non è sufficiente piazzare armi e/o sistemi d’arma su normale nave mercantile per trasformarla in una nave da guerra. La questione è cioè più complessa, perché poi per gestire quanto imbarcato occorrono altri sistemi capaci di integrare il tutto e coordinare/controllare l’eventuale impiego degli armamenti. Per non parlare del fatto che una una piattaforma militare nasce, inevitabilmente, con caratteristiche (per esempio, in termini di “survavibility” così come di prestazioni) ben diverse.
Ciò detto però, è evidente che l’eventuale dispiegamento futuro di simili navi civili ma capaci di esprimere capacità militari diventerebbe davvero una sorta di “variabile impazzita”. Premesso che nella storia del secolo scorso, in entrambe le Guerre Mondiali si è assistito a esperienze simili (tra le “Q-ships” e i c.d. “incrociatori ausiliari”), la questione dopo decenni appariva dimenticata.
Fino a oggi, dato che il con tema della “containerizzazione” essa si ripresenta ora sotto una veste nuova ed estremamente pericolosa. Questo perché se da una parte l’esperimento della Zhong Da 79 può essere considerato un qualcosa di limitato (ma già impressionante visto il numero di armi imbarcate), si provi a immaginare quali possano essere le potenzialità delle più grandi navi portacontainer che di questi ultimi sono capaci di trasportarne a migliaia e migliaia.
Di fatto, ogni singola nave di questo tipo ha cioè la potenzialità di trasformarsi in una “nave arsenale” che, in maniera assolutamente discreta, si può avvicinare a un paese nemico e da qui lanciare attacchi. Sia con missili (come nel caso descritto), sia con “droni” (e cioè con modalità che richiamano la celebre operazione Ucraina “SpiderWeb”), sia anche attraverso la posa di mine. O, in alternativa, può svolgere simili missioni ma a favore di un Gruppo Navale più “classico”, aumentandone la potenza di fuoco in vari scenari operativi; o, ancora, agire in prossimità di linee di comunicazione marittima per colpire il traffico mercantile.
LE ALTRE MOSSE SEMPRE DELLA CINA
In tutto ciò, non sfugge certo il fatto che un simile impiego militare di navi a tutti gli effetti civili rappresenti una sfida alle regole dettate dal diritto bellico. Tema che però non sembra stare molto a cuore a Pechino dato che, non da oggi, proprio la Cina si muove con disinvoltura in questa sorta di “zona grigia” così tipica negli attuali scenari di guerra ibrida.
Nel corso degli ultimi anni sono stati infatti documentati diversi eventi significativi; navi semi-sommergibili (unità per lo spostamento di carichi particolari/eccezionali) convertite alla bisogna in piattaforma per il supporto di elicotteri da combattimento, petroliere dotate di specifiche attrezzature specifiche per rifornire in mare le navi della marina Militare Cinese e, infine, traghetti civili appositamente modificati per poter svolgere operazioni anfibie.
Come se non bastasse, Pechino allinea anche la Maritime Militia; cioè una flotta di decine e decine di navi apparentemente da pesca ma che in realtà svolgono poi anche variati compiti che si potrebbero definire in qualche modo paramilitari. Tanto che alcune di queste sono addirittura armate.
Del resto, c’è un fattore che viene troppo spesso sottovalutato; e cioè che la Cina non solo sta allestendo una delle più potenti flotte militari del mondo ma, di più, essa ha già anche la più grande flotta mercantile del pianeta. In caso di conflitto, quest’ultima può quindi garantire forme di supporto di vario tipo alla prima, amplificandone le capacità operative.
COSA ACCADE ALTROVE
Si è accennato in precedenza che i concetti operativi riguardanti il ricorso a moduli containerizzati ospitanti armamenti (o altri sistemi utili per missioni di combattimento) non sono una novità. Già nel 2010, per esempio, la Russia aveva presentato sempre un lanciatore quadruplo installato all’interno di un container da 40 piedi e utilizzabile per lancio dei missili della famiglia Kalibr. Questo sistema è stato chiaramente poi ripreso (o copiato…) proprio dalla Cina che, pochi anni dopo, presentò il Containerized Sea Defense Combat System (CSDCS). Da notare che proprio sulla base delle poche immagini disponibili, sulla Zhong Da 79 sembra essere installato proprio qualcosa del genere.
Un Paese molto attivo in questo ambito è poi la Danimarca, Basandosi sulla esperienza del sistema Stanflex adottato su diverse unità della Marina di questo Paese e che in qualche modo può perfino essere considerato un antesignano di questi sviluppi più recenti, l’azienda locale SH Defense propone “The Cube™”. Un concetto sistema basato sull’imbarco di container standard da 20 o 40 piedi, anche assemblabili fra di loro, in modalità “plug and play”; moduli cioè sostanzialmente autonomi che hanno bisogno di essere collegati agli impianti/sistemi di bordo solo per l’alimentazione e per poter essere controllati/gestiti. All’interno, sistemi d’arma, sensori, droni e attrezzature varie, allo scopo di conferire un’ampia flessibilità in termini di missione assegnate alla piattaforma ospitante.
Dal novero degli esempi non potevano poi certo mancare gli Stati Uniti che, dopo l’esperienza non felicissima dei “moduli di missione” concepiti per le Littoral Combat Ships e che in alcune loro parti richiamano i concetti in questione, oggi stanno immettendo in servizio il Mk.70 PayLoad Delivery System (PLDS). Questo altro non è se non un container di 40 piedi contenente una versione del noto lanciatore verticale Mk 41; in questo caso, modificato per poter essere portato da una posizione di riposo a una eretta per lancio di missili di vario tipo.
Per quanto introdotto da poco, il PLDS ha già destato molto interesse da parte della US Navy in quanto potrebbe essere imbarcato sia sulle attuali e prossime venture unità “tradizionali” (al fine di aumentarne la potenza di fuoco), sia sui futuri “droni” navali (diventando qui l’armamento principale). Tra l’altro, proprio per questi ultimi, si pensa già di sviluppare ulteriori sistemi modulari sempre containerizzati per lo svolgimento di varie missioni (tipo ricognizione o guerra elettronica). Il tutto sempre a dimostrazione del fatto che questa formula, per la sua intrinseca elevata flessibilità, è destinata a rappresentare una importante direttrice di sviluppo futuro in ambito navale.







