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Giappone Toyota Auto Elettriche

Perché il Giappone è rimasto indietro sull’auto elettrica. Report Economist

I produttori automobilistici in Giappone sono in ritardo sulla tecnologia elettrica: colpa, anche, di una scommessa sull'idrogeno rivelatesi perdente. Tutti i dettagli.

Il Giappone, ossia un Paese che un tempo dominava il mercato globale dell’auto a colpi di innovazione, è diventato ora il fanalino di coda per quanto concerne gli sforzi verso l’elettrificazione. È una realtà che emerge bene da un recente articolo dell’Economist, che illustra punto per punto le ragioni di un ritardo he erode fatalmente la tradizionale leadership nipponica rischiando di farle perdere il treno della più importante rivoluzione industriale dei nostri tempi.

L’auto giapponese: tramonto di un’era?

C’è stato un tempo in cui l’automotive giapponese era sinonimo di innovazione. La nazione del Sol Levante ebbe il merito di porre fine alla stagione del fordismo introducendo quel modello produttivo definito just in time che rivoluzionò l’intero settore. Grazie al Giappone, insomma, si poté definitivamente archiviare quella lunga fase in cui, per dirla con Ford, i consumatori potevano acquistare le macchine che volevano purché fossero nere.

Quei tempi però ora sono passati e il Giappone si trova in forte difficoltà e ritardo per quanto concerne l’elettrificazione. I numeri forniti dall’Economist parlano chiaro: se nel 2022 le auto elettriche hanno rappresentato il 13% di tutte le auto vendite globalmente (ma in Cina si è raggiunto il 20%), la quota di mercato in Giappone è stata di appena il 2%.

I colossi dell’automotive giapponese non sono riusciti a stare al passo di concorrenti come Tesla e Volkswagen: nessuno di essi è rappresentato nella top 20 delle vendite globali di auto elettriche, e ciò nonostante Nissan e Mitsubishi abbiano prodotto più di dieci anni fa i primi modelli di auto elettriche. Toyota, ossia il più grande produttore al mondo, con 10,5 milioni di auto vendite nel 2022, ha venduto nello stesso anno appena 24.000 auto elettriche.

Il precedente dell’elettronica di consumo

Commentando il preoccupante trend dell’auto elettrica in Giappone, l’Economist suggerisce un parallelo con quanto accadde per quelle industrie dei semiconduttori e dell’elettronica di consumo che vedevano il Giappone un tempo in posizione dominante. Tokio ebbe il demerito di non cogliere alcuni dei trend emergenti e si lasciò dunque sfilare la palma dell’innovazione dai suoi più giovani competitor.

Ciò pone un problema rilevante per il Giappone, in cui l’industria dell’auto rappresenta l’8% di tutti i posti di lavoro e il 20% di tutte le esportazioni del Paese. C’è chi teme giustamente le drammatiche conseguenze sul piano economico e sociale che si innescherebbero in presenza di un declino di questo settore strategico.

Tentativi di rimonta

In tempi più recenti, tuttavia, i produttori giapponesi di automobili, resisi conto della situazione, stanno operando dei seri tentativi di rimonta. Il simbolo della riscossa del Sol Levante potrebbe essere rappresentato dal nuovo Ceo di Toyota, Sato Coji, nominato proprio per rilanciare l’elettrificazione della sua compagnia. Nella sua prima conferenza stampa, lo scorso 7 aprile, il nuovo Ceo ha annunciato piani per lanciare dieci nuovi modelli di auto elettrica e raggiungere quota 1,5 milioni di vendite entro il 2026.

Honda è sulla stessa scia con piani per lanciare trenta modelli di auto elettriche di qui al 2030, e una joint venture con Sony formata l’anno scorso con l’obiettivo di cogliere tutte le opportunità dell’elettrificazione. Anche Nissan ha annunciato l’intenzione di produrre diciannove nuovi modelli entro il 2030, e la società ora definisce l’auto elettrica “il cuore della nostra strategia”.

Le ragioni di un ritardo

Ma da cosa dipende il ritardo di un Paese un tempo considerato all’avanguardia? Per l’Economist la spiegazione va ricercata proprio nei precedenti successi dell’automotive giapponese, ovvero da ciò che Sato ha inquadrato come un caso esemplare di dilemma dell’innovatore. I leader industriali hanno cioè esitato ad abbracciare una nuova tecnologia che poteva minare la leadership conquistata in aree come i veicoli ibridi, in cui il Giappone è stato pioniere.

La sindrome di cui sono stati preda gli ingegneri dei colossi giapponesi dell’automotive li ha visti tenacemente attaccati ai motori tradizionali, Tra i motivi che spiegano ulteriormente il ritardo giapponese c’è stato anche il timore delle conseguenze che il passaggio all’auto elettrica avrebbe implicato per il vasto network di fornitori, in considerazione del fatto che le auto elettriche sono composte da meno componenti rispetto alle auto tradizionali o ibride.

Ma un’altra ragione rimanda alla sufficienza con cui i produttori hanno guardato alla rivoluzione dell’auto elettrica e alla convinzione che, qualora fosse stato necessario, le loro industrie avrebbero potuto tranquillamente effettuare il passaggio dall’auto ibrida all’auto elettrica.

L’illusione dell’idrogeno

C’è un altro motivo per cui i produttori giapponesi sono in ritardo rispetto alla concorrenza ed è la scommessa fatta a suo tempo sull’idrogeno, altra tecnologia che prometteva un futuro carbon-free.

Leader come Toyota erano convinti che il passaggio all’idrogeno sarebbe stato determinante per il futuro dell’auto. E un premier famoso come lo scomparso Abe Shinzo promosse politiche durante i suoi mandati tra il 2012 e il 2020 per rendere il Giappone una “società all’idrogeno”,

Quando nel 2015 Toyota pose in produzione la sua prima sedan all’idrogeno, la Mirai, ne donò un esemplare allo stesso Abe. Ma questa si è rivelata presto una strada senza uscita, tanto che la stessa Toyota ha venduto in totale nel mercato interno appena 7.500 veicoli all’idrogeno.

Il nodo dei sussidi

Un’altra ragione del ritardo giapponese rimanda alle differenze nei regimi di sussidi rispetto a quanto scelto da altre aree del mondo come Cina, Europa e America. A differenza a queste ultime, Tokio ha incentivato molto meno l’auto elettrica.

E se il governo ora punta a una completa elettrificazione del comparto entro il 2035 esso, in contrasto con quanto fanno altri esecutivi, fa rientrare in tale obiettivo anche le ibride. Inoltre, come retaggio del recente passato, i sussidi giapponesi sull’idrogeno rimangono ancora molto consistenti.

Il Giappone tra gli ultimi in classifica

Questo insieme di ragioni contribuisce a spiegare come mai il Giappone sia rimasto parecchio indietro nella più importante rivoluzione industriale dei nostri tempi.

Per dirla col consulente gestionale nipponico Murasawa Yoshihisa, è come se il Giappone fosse rimasto ancorato al passato come ai tempi degli shogun Tokugawa, quando i giapponesi si rifiutavano di guardare a cosa succedesse nel mondo esterno. E così quelle auto made in Japan che fino a qualche anno fa erano sinonimo di efficienza energetica e quindi di ambientalismo, rischiano ora di rappresentare una sorta di emblema del negazionismo climatico.

Non è un caso se, come mostrato da un recente studio di Greenpeace, i tre principali produttori giapponesi di auto, ossia Toyota, Honda e Nissan, si collocano buoni ultimi nella classifica delle compagnie mondiali leader negli sforzi per la decarbonizzazione. E non è un caso anche, come ha concluso un’indagine di Global Mobility, i consumatori che anelano a un’auto elettrica si stiano sempre più allontanando da marchi come Toyota e Honda.

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