Skip to content

Produzione Industriale

Fca e non solo, l’automotive scalda i motori in Piemonte

Con il lockdown, il nostro sistema industriale sta perdendo 10 miliardi al mese, ma l'automotive prova a scaldare i motori per la ripartenza. Che cosa succede in Piemonte

 

Una settimana per preparare la ripartenza delle imprese che si sono fermate. Si inizia dagli ordini già pronti per la spedizione, ma poi va fatta anche manutenzione sui macchinari e bisogna ricevere le materie prime che serviranno quando il lockdown sarà allentato. Perché adesso, con Mirafiori pronta a partire lunedì per la preserie della 500 elettrica, in Piemonte si vede davvero uno spiraglio concreto di ripresa. Con tutto il mondo automotive che piano piano riaccende i motori.

Succede, ad esempio, alla Denso di Poirino, alla Elbi di Collegno e alla Teksid di Carmagnola dove si ripartirà gradualmente con circa 60 persone sul primo turno e sul turno centrale. Nello stabilimento ci saranno attività legate solo alla Ricerca e sviluppo: non ci sarà alcuna attività produttiva. Ma è un modo per iniziare a comprendere come far funzionare alcune questioni pratiche tra cui la mensa e il trasporto per i lavoratori. Per avviare la produzione ci vorrà ancora tempo e, nelle ipotesi più ottimistiche, prima di avere una percentuale di operai in fabbrica che supera la metà dell’organico bisognerà aspettare a fine maggio. Ma intanto, gruppetto per gruppetto, si ci inizia ad abituare agli orari scaglionati all’ingresso, in mensa e nei reparti. Inoltre in questi giorni c’è una corsa a firmare gli accordi con i sindacati per non avere problemi e tensioni tra i lavoratori.

Per Edi Lazzi della Fiom “i dati epidemiologici del Piemonte non sono incoraggianti quindi una vera accelerata alla riapertura non c’è per fortuna. Gli accordi sulla sicurezza, invece, procedono. Ne abbiamo già siglati una trentina e puntiamo ad arrivare al numero più alto possibile”. Di giorno in giorno aumentano le autocertificazioni inviate alla prefettura da imprese che riprendono a lavorare: sono salite a  2.276 e altre sono in lavorazione (con il settore difesa e le attività a ciclo continuo si arriva a quasi 2.500). Un numero non enorme ma che si somma quelle già aperte perché con codici Ateco non sospesi. Dal fronte dei controlli, sono stati 902 da parte della guardia di finanza, quasi tutti documentali e solo 100 sono state le ispezioni in azienda. Solo 36 sono i provvedimenti di sospensione dell’attività, di cui 6 poi revocati.

“Torino e il Piemonte sono ancora in piena emergenza sanitaria, e in questa fase non è pensabile una sorta di ‘liberi tutti’. Fra l’altro è ancora irrisolto come impedire che un aumento della mobilità dei lavoratori che utilizzano i mezzi pubblici, non provochi una ulteriore espansione dell’epidemia. Inoltre, la certezza dell’approvvigionamento dei dispositivi di protezione durante la permanenza in azienda, che dovrà durare per tutto il periodo di assenza di un vaccino anti-virus corona, resta una incognita. Ancora oggi non tutti gli operatori sanitari ne sono provvisti. Per citare due dei tanti problemi, da qui bisogna partire, il resto è propaganda sulla pelle dei lavoratori”, commentano Federico Bellono, Cristina Maccari e Franco Lo Grasso che rappresentano Cgil, Cisl e Uil nella cabina di regia organizzata dal prefetto di Torino, Claudio Palomba.

In attesa dell’auspicata ripartenza prevista dal prossimo 4 maggio, arrivano i risultati della seconda indagine di Confindustria sugli effetti della pandemia da Covid-19 per le imprese italiane, avviata con l’obiettivo di comprendere quale sia stato l’impatto dei provvedimenti – i due DPCM del 22 e 25 marzo che hanno determinato il lockdown di molte attività produttive – e le problematiche che ne sono seguite. “Questa seconda indagine non fa che confermare i timori per il nostro sistema industriale, che sta perdendo 10 miliardi al mese – ha dichiarato il Presidente di Confindustria Piemonte Fabio Ravanelli – e rende sempre più urgente una ripresa, regolamentata e graduale, delle attività in Piemonte, così come sul territorio nazionale”. All’indagine, un questionario online nel periodo dal 4 al 14 aprile, hanno partecipato 4.420 imprese (quasi 6.000 quelle che avevano risposto alla prima, svoltasi a fine febbraio), 506 per il Piemonte, 63% del comparto manifatturiero, 37% dei servizi, per larga parte (76%) di piccola o media dimensione.

In linea generale, in riferimento al mese di marzo 2020, per oltre il 67% delle imprese della nostra regione la diffusione del Covid-19 ha avuto un impatto molto rilevante, per cui gli obbiettivi per l’anno in corso non risultano più raggiungibili oppure si è resa necessaria una riorganizzazione del piano aziendale. A seguito dei provvedimenti del governo, solo il 27% delle circa 500 aziende coinvolte è rimasta totalmente aperta, l’84% sta facendo ricorso alla CIG, l’80% allo smart working. Per quanti tuttora in attività, i problemi maggiori si riscontrano nell’approvvigionamento del materiale sanitario (60% circa delle aziende totalmente o parzialmente aperte), mentre il 34% ha avuto difficoltà per la mancata ricezione delle forniture da altre imprese. Tentando di guardare al futuro, è stato chiesto infine agli imprenditori quali fossero le strategie che metterebbero in atto per superare la crisi: quasi il 90% di essi non vede altre soluzioni che attendere il ritorno alla normalità e circa la metà ritiene utile ricalibrare il paniere dei prodotti venduti. Meno efficaci o percorribili altre scelte, quali cambiare i paesi di destinazione dell’export o aumentare le vendite tramite l’e-commerce. “Tutti noi abbiamo ormai sviluppato una piena consapevolezza dei rischi e dei comportamenti più corretti, ma rimane utile ribadire ancora una volta che la condizione essenziale per la riapertura è il rispetto rigoroso e totale degli standard di sicurezza. Potranno riprendere solo quelle aziende che in questo periodo hanno avuto modo di predisporre tutte le misure necessarie a garantire la salute dei lavoratori. Con la piena applicazione dei protocolli – conclude Ravanelli – lavorare in azienda sarà più sicuro che andare al supermercato”.

Torna su