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F-16

F-16: chi li ha e chi li invierà (forse) all’Ucraina

Con il via libera degli Stati Uniti, gli alleati hanno accettato di addestrare i piloti di Kiev, ma al momento nessun paese ha comunicato la fornitura di caccia F-16 all'Ucraina. L'approfondimento del quotidiano Politico

 

Proprio come avvenuto per altri sistemi d’arma messi a disposizione di Kiev solo dopo le iniziali esitazioni occidentali e uno sconcertante balletto di dichiarazioni, la notizia della fornitura degli F-16 all’Ucraina è attualmente in fase di continuo aggiornamento. Ecco qual è lo stato dell’arte tratteggiato in un recente articolo di Politico che fa il punto sulle varie questioni sul tappeto inclusa quella relativa all’addestramento dei piloti ucraini.

F-16 ALL’UCRAINA? PRIMA L’ADDESTRAMENTO

Dopo le prolungate pressioni ucraine, gli Usa venerdì scorso, con un annuncio di Biden fatto nel contesto solenne del G7 di Hiroshima alla presenza dello stesso Zelensky hanno finalmente fatto il loro ingresso nella nascente coalizione internazionale che vuole dotare Kiev dei caccia di quarta generazione addestrandone i piloti, generando l’aspettativa che gli F-16 siano finalmente sul punto di essere impiegati nei teatri di guerra.

Eppure, sottolinea Politico, al momento né gli Usa né gli altri alleati occidentali appaiono pronti. Candidati naturali come l’Olanda, il Belgio e la Danimarca continuano a nicchiare, trincerandosi dietro la parola d’ordine del momento: prima viene l’addestramento dei piloti ucraini.

“Assicuriamoci di compiere per ora la gran parte delle attività di addestramento”, ha dichiarato lunedì il Ministro degli Esteri olandese Wopke Hoekstra. “Resta da vedere”, ha aggiunto, “cosa ci riserva il futuro”.

Eppure, se consideriamo cosa è successo dal 24 febbraio dell’anno scorso ad oggi, si può intravvedere tra gli alleati uno schema di comportamento che fa ben sperare: si parte con una fase iniziale di esitazione, poi una delle potenze occidentali, tipicamente gli Usa, compiono il primo passo e infine tutti gli altri si accodano.

Come spiega a Politico Seth Jones, direttore dell’International Security Program presso il Center for Strategic and International Studies (CSIS), questo pattern è “indicativo del modo in cui gli Usa hanno fornito assistenza (all’Ucraina) in ogni passaggio della guerra”.

In poche parole, se nessuno per ora sembra pronto a trasferire ai confini con la Russia i propri F-16, questo stato dell’arte potrebbe cambiare molto presto.

DOVE SONO I JET ORA?

Come rileva Politico, il lento e sofferto processo decisionale della coalizione occidentale si spiega con ragioni di ordine sia politico che tecnico.

Sono pochi anzitutto i Paesi che hanno un effettivo surplus di F-16: ovvie considerazioni di sicurezza nazionale impediscono dunque di prendere a cuor leggero la decisione di trasferire in Ucraina anche pochissimi caccia.

Si prenda l’esempio dell’Olanda, cui Kiev guarda come allo Stato che, per usare le parole del Ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov, “si ritrova nella posizione di essere il primo” che metterà a disposizione del Paese invaso i propri jet.

Come ha dichiarato un portavoce del Ministero della Difesa olandese, attualmente l’Aia dispone di 24 esemplari di F-16 bollinati come “operationally deployable”, e questi, ha aggiunto il portavoce, “rimarranno in servizio fino alla metà del 2024 (…) dopo di che, essi saranno disponibili per un’altra destinazione”.

Ma l’Olanda ha anche altri diciotto F-16 che, ha riferito lo stesso portavoce, “non vengono più impiegati operativamente” e potrebbero dunque essere trasferiti “ad altra destinazione”. Significativamente, la stessa fonte chiarisce che dodici di quei diciotto F-16 stavano per essere ceduti a una società privata quando è intervenuta la decisione del governo di bloccare la cessione.

LA POSIZIONE DEGLI USA

Quando si parla di F-16, naturalmente, il pensiero va al loro produttore, gli Usa, e alla sua numerosa flotta. Pur avendo dato luce verde all’addestramento dei piloti ucraini da parte degli alleati, sul fatto di fornire i propri jet l’Amministrazione Biden appare ancora esitante e ostaggio del dubbio se una simile mossa possa scatenare la rabbia di Mosca.

Non è in effetti passato molto tempo da quando Biden, sentendosi rivolgere una domanda secca sul prato della Casa Bianca da un reporter interessato a capire se l’America fosse in procinto di dotare Kiev dei jet, rispose lapidariamente “no”.

Eppure molta acqua è passata sotto i ponti da allora e l’iniziale fermezza americana sembra aver conosciuto una evoluzione. Lo testimoniano le dichiarazioni rese lunedì ai reporter dal Segretario dell’Air Force Frank Kendall che, a precisa domanda circa le chances che gli Usa forniscano i propri aerei, ha risposto “non lo so. Penso però che ci siano varie possibilità”.

Chissà se il Segretario si riferiva alla “coalizione per i jet” invocata a più riprese da Londra (che non dispone però di F-16). Anche in questo caso tuttavia resterebbe in piedi l’’ostacolo dell’autorizzazione americana a ritrasferire i jet dal primo acquirente a un paese terzo. Un tabu però che potrebbe presto cadere.

TEMPI LUNGHI

C’è un motivo dietro alle esitazioni americane ed è a consapevolezza che, qualsiasi decisione venga presa, produrrà effetti solo nel lungo termine.

Come ha dichiarato ancora Kendall, “nell’ipotesi migliore (gli ucraini) avranno bisogno di parecchi mesi per sviluppare quella capacità (d’attacco) e ci sono anche numerosi dettagli che dovranno essere risolti”. È fuorviante dunque evocare il tema F-16 come se questi rappresentassero, per usare l’espressione del Segretario, un “dramatic game changer”.

Meglio concentrarsi dunque sul fondamentale prerequisito dell’addestramento dei piloti. Un portavoce del cancelliere tedesco Olaf Scholz, alla guida di un Paese che non dispone di F-16 ma che sarà in prima linea nel programma di addestramento dei piloti, ha dichiarato lunedì che Berlino e Washington sono “in stretto coordinamento” su un piano che comunque “richiede parecchi mesi, se non anni”.

Pur non fornendo dettagli sullo specifico impegno tedesco, è ormai chiaro che l’addestramento dei piloti ucraini avverrà nelle basi di Spangdahlem e Ramstein, dove stazionano gli F-16 dell’alleato Usa.

Non manca tuttavia chi si dice irritato per i tempi lunghi e le esitazioni. Tra questi c’è l’ex comandante generale dell’Esercito Usa in Europa Ben Hodges, secondo il quale “questo processo decisionale incrementale mina l’ottimo lavoro fatto finora. (…)  Se l’Amministrazione (Biden) dovesse decidere che vuole che l’Ucraina vinca questa guerra, allora tutte le scuse evaporerebbero, le decisioni verrebbero prese tempestivamente e assisteremmo al pieno effetto di un sostegno occidentale che condurrebbe ad una rapida conclusione di questa guerra”.

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