Il prossimo 15 ottobre potrebbe rappresentare una giornata difficile per la storia delle relazioni industriali. Dopo anni di sofferenze, di tentativi di risanamento falliti e di perdite di pubblico danaro (a cui hanno concorso un po’ tutti, senza distinzioni tra sindacati, forze politiche di destra e di sinistra, governi e opposizioni) Alitalia cesserà ogni attività e dovrebbe decollare ITA, la nuova compagnia aerea che inizialmente occuperà solo una parte dei dipendenti di quella che una volta era la nostra “compagnia di bandiera, con l’intenzione di riconquistarne gradualmente anche il mercato. Purtroppo l’ operazione rischia di partire senza un accordo sindacale e di alimentare anche un contenzioso giudiziario che potrebbe rivelarsi particolarmente insidioso per la neonata ITA.
L’Unione Europea ha imposto la “discontinuità” tra Alitalia ed ITA per evitare il ripetersi di ricapitalizzazioni che avrebbero costituito ulteriori aiuti di stato. Da lungo tempo era abbastanza evidente che una serie di fattori come la scomparsa del regime di monopolio, la concorrenza ormai molto competitiva dell’alta velocità ferroviaria, l’abbandono del progetto con AirFrance e KLM e l’inadeguatezza del management avevano creato già negli anni novanta le condizioni per una crisi irreversibile. Il fatto che Alitalia, particolarmente nel territorio della Capitale, dava lavoro a migliaia di persone (e inevitabilmente era oggetto di interessi elettorali), ha portato a credere che lo statu quo dell’azienda si potesse conservare all’infinito, indipendentemente dal risultato economico dell’impresa. Certo le tutele, tipiche per i lavoratori di grandi aziende in crisi nel nostro paese siano esse al nord o al sud, finora non sono mancate se è vero che per Alitalia la cassa integrazione straordinaria sarà prorogata almeno fino al 2023 e che nella fattispecie l’ indennità di cassa integrazione erogata dall’INPS, viene integrata dal Fondo Volo (alimentato da una tassa specifica sul biglietto aereo) sino a garantire l’80% delle retribuzioni di fatto. Anche se i lavoratori aeroportuali hanno conquistato ammortizzatori sociali di tutto rispetto, almeno per il settore privato, questo non cancella le preoccupazione per il futuro.
Allo stato delle cose le dimensioni della nuova ITA potranno assorbire circa un venti per cento dei vecchi dipendenti Alitalia e il trattamento contrattuale dei lavoratori assunti da ITA non potrà essere quello della vecchia Alitalia che finirà in liquidazione. Del resto è difficile pensare che tutti gli ex dipendenti di Alitalia potranno passare gradualmente ad ITA. Sarebbe opportuno però trattare coi sindacati la stipula di un contratto che, data le circostanze, non potrebbe che avere le caratteristiche di un contratto collettivo aziendale autonomo rispetto al contratto collettivo nazionale di lavoro e agli integrativi aziendali Alitalia. Il fatto è che le comunicazioni tra ITA e sindacati sembrano interrotte. Da una parte il management applica Il “regolamento aziendale” che, in assenza di contratto collettivo, viene sottoscritto individualmente da ciascun lavoratore assunto ( sia esso un ex di Alitalia o meno) e dall’altra i sindacati difendono i diritti acquisiti per gli ex Alitalia e non accettano il principio del contratto “modello Marchionne”.
Senza un accordo non sembra esservi, per entrambe le parti, una via d’uscita senza pagare prezzi assai costosi. L’avvio di una conflittualità permanente , accompagnata da un sistematico contenzioso giudiziario potrebbe soffocare nella culla la nuova società che d’altra parte, secondo autorevoli pareri, nasce troppo gracile. Del resto il Governo, fatte salve le incognite dei singoli partiti, non potrebbe neppure prendere in considerazione il rifinanziamento di una “Compagnia aerea di Stato” senza riaprire un contenzioso in sede UE che si rivelerebbe di questi tempi semplicemente improponibile.
E’ altrettanto comprensibile che l’applicazione di fatto del “modello Marchionne” susciti l’ostilità (o quantomeno la preoccupazione) delle organizzazioni sindacali ma è difficile gestire situazioni di crisi grave senza realismo e assunzione di responsabilità. Del resto il pluralismo contrattuale non solo rientra nella libertà associativa sindacale sancita dall’articolo 39 della Costituzione, ma consente di affrontare in una logica partecipativa, dove potere e responsabilità vanno di pari passo, progetti di risanamento e di sviluppo delle imprese riconoscendone i risultati anche ai lavoratori. Sarebbe una sconfitta per tutti (in primo luogo per i lavoratori) se il contratto ITA non fosse discusso e accettato dal sindacato e le assunzioni fossero fatte solo attraverso la sottoscrizione individuale di un regolamento aziendale.
Il problema più rilevante rimane però quello delle migliaia di dipendenti Alitalia che nel 2023 non saranno in pensione e non avranno ancora trovato un nuovo lavoro. Considerando i loro livelli professionali non dovrebbe essere una “mission impossibile” individuare soluzioni accettabili, ma è necessario utilizzare subito e in termini concreti tutti quegli strumenti che, attraverso la formazione e la riqualificazione, garantiscano una effettiva mobilità occupazionale, a partire da quell’assegno di ricollocazione da troppo tempo dimenticato che potrebbe dare un primo segnale di vitalità delle politiche attive del lavoro.