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Londra

Così lo sciopero dei trasporti mette in crisi più il Labour che Johnson

Per il governo di Boris Johnson, lo sciopero dei trasporti in Galles, Scozia e Inghilterra - il più grande degli ultimi 30 anni - sarà un gatta da pelare o un'opportunità per ricompattare il consenso degli elettori? La nota di Daniele Meloni

 

Ieri sera ci sono stati i primi inconvenienti per i pendolari, ma dalla mezzanotte di oggi le linee ferroviarie di Galles, Scozia e Inghilterra sono bloccate per lo sciopero indetto dalla National Union of Rail, Maritime and Trasport Workers (RMT), il principale sindacato dei trasporti britannico. Una nuova gatta da pelare per il governo Conservatore, che, però, potrebbe ricompattare il consenso degli elettori nei suoi confronti contro chi “vuole fermare il paese”, così come hanno detto il Premier Johnson e il Ministro dei Trasporti, Grant Shapps, ieri, in un’informativa alla Camera dei Comuni.

Le trattative per evitare il più grande sciopero degli ultimi 30 anni sono proseguite per tutta la giornata di ieri fino a quando il segretario dell’RMT, Mick Lynch è uscito dalla sede del sindacato e ha comunicato ai giornalisti che gli “strikes”, previsti per questa settimana nelle giornate di oggi, del 23 e del 25 giugno, erano confermati. Il sindacato chiede aumenti in busta paga del 7% per fare fronte al carovita contro l’offerta dei datori di lavoro del settore del 3% (con aggiunta di tagli all’occupazione e rimodulazione dei turni di lavoro). Anche i lavoratori della Transport for London (TfL) sono in sciopero e chiedono una rimodulazione dei piani pensionistici e ribadiscono anch’essi il no ai tagli.

La BBC ha riportato che oggi lo stesso Johnson parlerà in pubblico chiedendo una soluzione all’industrial action che sia “ragionevole”, che “non penalizzi i pendolari” e che “veda aumenti proporzionati per tutti quei lavoratori che svolgono duramente la loro mansione”. Ma se il governo rischia di essere messo in difficoltà dalla spirale inflattiva e dalla paralisi che si tradurrà, inevitabilmente, in malcontento e perdita di ore lavorate, chi rischia di più da questa crisi è, paradossalmente, il partito Laburista.

Il Labour non ha espresso una linea credibile sugli scioperi. In molti dello Shadow Cabinet di Starmer hanno espresso solidarietà con il sindacato, accusando il governo di incapacità. Eppure, dai vertici del partito è stato inviato a tutti i deputati il messaggio di non prendere parte direttamente alle iniziative dell’RMT. Alcuni MPs vicini all’ex leader, Jeremy Corbyn, hanno annunciato che saranno presenti sulle linee dei picchetti con i sindacalisti. Questo – teme Starmer – potrebbe allontanare dal partito tutti quegli elettori moderati che non ne vogliono proprio sapere degli scioperi e che stanno traslocando nelle fila del Labour perché delusi da Johnson. Vale la pena ricordare che RMT finanzia il partito Laburista con 250mila sterline all’anno, che è uno dei principali sindacati affiliati all’organizzazione, e che molti deputati Laburisti sono stati eletti anche grazie al contributo economico della Union. Uno di questi è Wes Streeting, il Ministro della Salute del Governo Ombra, da molti visto come in rampa di lancio per la leadership del partito.

Lynch, comunque, non sembra curarsi né del governo né del Labour. Ha annunciato “scioperi a oltranza” fino a quando la vertenza non sarà risolta e si fa forza di essere il leader di uno dei sindacati che è cresciuto maggiormente sin dalla sua nascita negli anni ’90. Un simile livello di paralisi porterebbe comunque il paese ai tempi dello sciopero generale del 1926 secondo alcuni analisti. Anche se in molti sul fronte conservatore vedono nella battaglia contro RMT un remaking di quella di Margaret Thatcher contro la National Union of Mineworkers (NUM) del 1985. Il settore e le questioni sembrano essere molto diverse, ma il governo Johnson potrebbe approfittare della situazione per recuperare quegli elettori che Starmer teme di perdere con una posizione poco chiara sugli scioperi. La battaglia, su tutti i fronti, sembra solo all’inizio.

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