Il leader di Azione, Carlo Calenda, torna ad attaccare a testa bassa uno dei suoi bersagli prediletti: Stellantis. Dopo aver sferzato il segretario della Cgil Maurizio Landini accusandolo di essere più vicino alla causa palestinese rispetto a quella degli operai italiani del settore auto, l’ex ministro allo Sviluppo economico nei governi Renzi e Gentiloni ha infatti recuperato una notizia divulgata dal gruppo rilanciandola con un ‘tweet’ tutt’altro che lusinghiero.
Oltre il danno la beffa. Ma non vi vergognate @StellantisIT ? pic.twitter.com/P3aWFhPkkK
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) October 14, 2025
COME MAI IL PROGRAMMA PHILANTHROPY NON VA GIÙ A CALENDA
Per capire il contesto serve procedere per gradi, con ordine. Il riferimento è alla situazione di Stellantis nel nostro Paese: come annotava a fine 2024 il Corriere della Sera, una delle poche testate del Paese ad aver sottolineato il crescente disimpegno nazionale del gruppo italo-francese, “Nel 2024 saranno circa 3.000 gli esodi incentivati. Altri 1.500 l’anno scorso e 3.000 nel 2022.” I numeri di Fiom si assestano sulle medesime cifre: 9.656 dipendenti lasciati a casa tra il 2020 e il 2024.
E, ancora, da via Solferino si sottolineava l'”ampio ricorso nello stesso tempo alla cassa integrazione. Dal 2014 al 2020 Fca ha ricevuto dallo Stato 183 milioni. Dal 2021 al maggio 2024 la spesa dello Stato per la cassa è salita a 703 milioni.” Quasi un anno dopo SkyNews riportava che “gli ammortizzatori sociali (cassa integrazione e solidarietà) riguardano il 61,68 per cento dei dipendenti”. Cifre che naturalmente si ingigantiscono allargando lo zoom ai lavoratori dell’indotto, quel conto terzi che vive e sopravvive grazie alle commesse dei marchi italiani nel portafogli Stellantis.
I numeri italiani di Stellantis nel frattempo, se possibile, sono peggiorati ancora: nei primi nove mesi del 2025 sono state realizzate complessivamente 265.490 unità tra autovetture e veicoli commerciali, con un calo del -31,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nel dettaglio l’inchiodata delle autovetture è stata pari al 36,3%, fermandosi ad appena 151.430 unità sfornate, mentre quella dei veicoli commerciali del 23,9% sul 2024, con 114.060 unità prodotte nel Paese.
Quando, tra la fine del 2024 e l’inizio del ’25 la stampa iniziò a rendersi conto che la produzione di Stellantis sarebbe stata disastrosa, enfatizzò che fosse “crollata ai minimi dal 1956“. “Dagli stabilimenti italiani – scriveva MilanoFinanza solo lo scorso gennaio – sono usciti 475.090 veicoli, il 36,8% in meno rispetto al 2023. La produzione di auto, però, crolla del 45,7% sotto a quota 300 mila (sono 283.090) e il dato non era così basso dal 1956, mentre quella di veicoli commerciali cala del 16,6% a 192 mila unità”.
PRODUZIONE AL LUMICINO, URSO SODDISFATTO
Il rischio ora è di avere esaurito i raffronti per descrivere il nuovo peggioramento che stiamo vivendo industrialmente come Paese nel 2025: “le previsioni per la chiusura dell’anno restano fortemente negative: poco più di 310.000 unità complessive, con le autovetture che scenderanno sotto le 200.000” dicono da Fim-Cisl. Il modo più efficace per rendere l’idea è quello dei sindacati: “Tutti gli stabilimenti registrano dati in flessione rispetto al 2024, con perdite comprese tra il -17% e il -65%”.
Il ministro Adolfo Urso, che pure ha detto e ripetuto che Stellantis deve tornare a produrre più di un milione di unità, si rallegra del fatto che il Gruppo “non licenzi” e stia pertanto “mantenendo le promesse”, ignorando evidentemente la diaspora di cui sopra o forse cavillando sul fatto che tecnicamente si tratti di uscite volontarie. Emblematico anche che un ministro di un governo orgogliosamente tricolore e sovranista taccia sugli operai italiani di Torino e Pomigliano spediti alle catene di montaggio in Serbia.
NUMERI CHE STRIDONO CON LA FILANTROPIA
Per fortuna nel mentre l’azienda si è mossa, occorre ammetterlo. Defenestrato Carlos Tavares sotto il cui mandato Stellantis ha toccato i record negativi del 2024, con Antonio Filosa sembrano esserci avvisaglie circa la volontà di invertire la rotta, ponendo un equilibrio maggiore nei rapporti tra quel matrimonio non troppo felice tra l’italoamericana Fca e la francese Psa, come lamentano in queste stesse ore i sindacati d’Oltralpe. Dopo Emanuele Cappellano alla guida dell’Enlarged Europe al posto di Jean-Philippe Imparato e Francesco Ciancia come responsabile del Manufacturing è rientrato un altro ex manager della cosiddetta “scuola Marchionne” Mauro Pino: nelle sue mani il rompicapo della situazione aziendale negli Usa.
INVESTIMENTI MONSTRE NEGLI USA
La situazione è difficile anche oltreoceano, specie ora che alla Casa Bianca c’è Donald Trump. Sotto Tavares la si voleva risolvere chiudendo fabbriche e lasciando a casa operai, con Filosa si preferisce evidentemente non andare allo scontro frontale col nuovo presidente americano: da qui la decisione di investire “13 miliardi di dollari per sostenere la crescita negli Stati Uniti”. Un fiume di denaro che renderà il compito a Pino indubbiamente più facile.
Si tratta, fanno notare dal Gruppo, dell'”investimento più significativo nei 100 anni di storia dell’azienda negli Stati Uniti e sosterrà l’introduzione di cinque veicoli nuovi in tutta la gamma prodotto nei segmenti principali, la produzione del nuovo motore a quattro cilindri e la creazione di oltre 5.000 posti di lavoro negli stabilimenti in Illinois, Ohio, Michigan e Indiana”.
L’intenzione di Filosa è aumentare “la produzione annuale di veicoli finiti del 50% rispetto ai livelli attuali”. I nuovi lanci di prodotto si aggiungeranno ai 19 modelli già programmati. Il piano di investimenti da 13 miliardi “include i costi di ricerca, di sviluppo e dei fornitori per l’attuazione dell’intera strategia di prodotto”.
E IN ITALIA?
In Italia, dove tanti, troppi impianti attendono di conoscere quali modelli sforneranno nel prossimo futuro, non è ancora dato sapere se finiranno mai i giorni di cassa integrazione che fanno procedere la produzione col freno a mano tirato. Quel che è certo è che il dopo-Tavares si sta vedendo finora soprattutto sul fronte della comunicazione, con un Gruppo che di colpo sembra meno francocentrico e più vicino, almeno leggendo le parole dei comunicati stampa, allo Stivale. Titoli come questo del TGR Piemonte di ieri (A Torino il “Future day” di Stellantis con 700 ragazzi) paiono confermarlo.
Scriveva invece l’Ansa: “Parte dall’Italia Stellantis Philanthropy, il programma di supporto alle comunità in cui l’azienda opera, destinato a espandersi a livello globale. L’azienda riunisce per la prima volta le iniziative dedicate alle comunità in cui è presente sostenendo programmi di istruzione e orientamento volte a ridurre l’abbandono scolastico, coinvolgendo i dipendenti nel volontariato con Stellantis Motor Citizens e premiando lo sviluppo dei talenti futuri con Stellantis Student Awards”. E, ancora: “Il programma, presentato presso l’Heritage Hub di Stellantis a Torino, coinvolgerà tutti i Paesi del mondo dove è presente uno stabilimento Stellantis. In Europa è implementato con 40 organizzazioni no profit e relativi progetti focalizzati su proseguimento degli studi, educazione professionale, digitale, ambientale e scientifica, distribuiti su 9 Paesi”.
Iniziativa lodevole, ma che finisce per cozzare rumorosamente contro i numeri della produzione italiana richiamati tra le righe del tweet dal leader di Azione: e l’eco, si sa, rischia di essere maggiore se i capannoni dei marchi italiani un tempo pieni di Fiat, Alfa Romeo, Maserati e Lancia, oggi sono desolatamente vuoti.