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Giorgetti Alitalia

Cosa succederà ad Alitalia. Fatti e (vecchie) teorie

Il punto su Alitalia nell’analisi di Paolo Rubino

È possibile che un orologio fermo sbagli l’ora anche in quelle due occasioni, durante le 24 ore, in cui il regolare scorrimento del tempo coincide con le lancette ferme? Per un attimo dovrebbe essere tra gli orologi più precisi al mondo e, se ciò non si verifica, è fuor di dubbio che siamo di fronte all’impossibile. Questa sembra la situazione di cui discettano i medici che hanno in cura Alitalia. Nella videoconferenza di mercoledì pomeriggio i ministri incaricati hanno fornito ai sindacati gli aggiornamenti sulla vicenda della Compagnia.

Per quanto corra l’anno 2020 e l’intera comunità mondiale sia alle prese con il coronavirus, il linguaggio, e i concetti, trasmessi hanno avuto decisamente il retrogusto degli anni ’90 del passato secolo.

Pochi, ma ben decisi i passaggi comunicati:

1. la restrizione del perimetro aziendale, flotta e addetti;

2. La ricerca di un’alleanza;

3. la divisione dell’azienda in good e bad company, per la terza volta in poco più di un decennio, la quarta se si fa rientrare in questa categoria quanto già applicato alla compagnia, ancora tecnicamente in bonis, una prima volta nel 2005.

Inutile dire che tali misure appaiono o ridondanti o inutili o controproducenti e tutte piuttosto obsolete. È certamente ridondante l’ennesimo giro di corda sulla riduzione del perimetro aziendale dopo 19 anni dal primo.

Allora fu l’angoscia delle torri gemelle a dettare l’agenda. Alitalia ridusse le operazioni in misura doppia, e sostanzialmente definitiva, rispetto alla concorrenza. Fu l’inizio della fine. Alla ripresa della normalità si ritrovò impreparata e avvilita, in altri termini inerme. La lettura angosciata degli eventi la portò ad infilare un tunnel di lì in avanti incessantemente ripetuto fino a ridurre l’azienda a un ectoplasma così come oggi appare. È certamente inutile l’ennesimo round di ricerca di un’alleanza. Alitalia, da sempre all’avanguardia in questa strategia, è già parte di una delle tre alleanze che si spartiscono il mercato. Anzi è formalmente un membro fondatore di Skyteam.

L’alleanza è benefica per una compagnia aerea nella misura in cui questa è autorevole nel complesso e delicato sistema di governance del cartello. Cambiare cartello, oltre che ridestare il fastidioso luogo comune per gli italiani voltagabbana, non conferisce di certo autorevolezza. Questa è piuttosto direttamente correlata al peso industriale del membro, flotta e rotte; al suo grado di intelligenza degli scenari e di innovazione industriale, competenze; al suo garbo negoziale, ancora competenze.

È certamente controproducente la prospettazione, ancora una volta, della divisione in good e bad company. Forse il suono esotico della locuzione affascina talmente ognuno che recitarla ne appaga di per sé la vanità. Un po’ come il latinorum di un azzeccagarbugli! L’idea che una compagnia aerea sia come una realtà manifatturiera che, resasi conto che un prodotto non tira più, ne chiude, o cede, l’impianto produttivo ha attecchito al di là di ogni buon senso. Chi sia stato il soggetto zero che ha inoculato questo virus nei cervelli italiani è ancora ignoto. Il sospetto che si tratti di un apprendista consulente è però fondato. Il processo industriale di un vettore aereo è di tipo olistico.

Tutti i sottoprocessi concorrono ad un comune scopo: garantire un servizio ai clienti regolare, affidabile, puntuale. Per dirla in inglese, che piace tanto a tanti, regularity, reliability, on time performance sono i parametri primigeni dell’efficienza e dell’efficacia, in altri termini di numerosi e soddisfatti clienti, ovvero di profittabilità. A questo obiettivo concorrono piloti, ingegneri, portabagagli, addetti al check in, assistenti di volo, contabili, venditori, tecnici informatici, squadre di pulizia, comunicatori. Tutti in ugual misura. Sfilare un membro della squadra vuol dire indebolire il processo.

Cosa accadrebbe alla Ferrari in formula 1 se invece di un proprio tecnico affidasse il riavvitamento dei bulloni delle ruote a un tecnico fornito dal circuito in cui si svolge la gara? O peggio ancora a un tecnico della Mercedes, cui paga ovviamente il disturbo, al box accanto? Lo spezzettamento del processo unitario aziendale, e il ricorso alle terziarizzazioni, ha già prodotto enormi danni. Non si tratta di un’opinione, ma di una certezza facilmente riscontrabile da chiunque abbia la pazienza di spulciare i bilanci della Compagnia dal 2006 in avanti dove il trade off tra costi interni per lavoro dipendente e costi di acquisto per servizi da terzi è, nella migliore delle ipotesi, perfettamente bilanciato. Ma l’equazione non fa zero tuttavia, perché la perdita di univocità direzionale si traduce in perdita di efficienza e di efficacia dell’attività.

E d’altronde perché mai, a parità di risultato, il servizio di un riparatore di motori ad esempio, dovrebbe costare di meno se acquistato da terzi invece che prodotto in proprio? Certo, può accadere che quel tecnico sia pagato di meno, ma la differenza va sicuramente a vantaggio del suo caporale, non certo del vettore cliente. Sicuramente nel lungo periodo quel terzo, se cresce incessantemente, beneficerà di economie di scala e di scopo. Ma soltanto i lettori buonisti della concorrenza potranno assumere che quel plusvalore generato dalle dimensioni ritorni nelle tasche dei clienti e non resti piuttosto a impinguare quelle del fornitore spesso perfino un concorrente. E tutte queste idee sono certamente obsolete. Difettano di un’accurata lettura degli scenari prospettici.

Il ritorno dei cartelli nell’industria del trasporto aereo; la fine dell’abbrivo del modello low cost; la saturazione degli hub; l’evoluzione del mix tra traffico d’affari, turistico e etnico; su tutto i rivolgimenti in corso nel segmento dei costruttori di aerei e sottosistemi avionici sono fenomeni in corso da tempo. Il covid-19 è semplicemente il fattore scatenante. Il regicidio di Sarajevo dell’industria aeronautica. Non vedere tutto ciò davanti a noi è una responsabilità grave della nostra classe dirigente. Non cogliere le opportunità dei cambiamenti in corso sarebbe una colpa imperdonabile.

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