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Cosa (non) cambierà con la riforma del Tpl

Ecco le falle della riforma del Tpl presenti nel documento “Il trasporto pubblico locale e il trasporto collettivo di lunga percorrenza” redatto dal servizio studi della Camera dei Deputati. L'intervento di Marco Foti

 

Nonostante nel settore del Trasporto Pubblico Locale (TPL) sia prevista la riforma dei criteri di finanziamento dello Stato alle Regioni, così come riportato nell’ultimo documento “Il trasporto pubblico locale e il trasporto collettivo di lunga percorrenza” del Servizio Studi della Camera dei Deputati, di questo oggi non vi è traccia.

Il Fondo nazionale per il TPL, segnatamente “Fondo per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario”, nelle regioni (a statuto ordinario) è stato istituito nel 2013 dalla legge di Stabilità 228/2012, in sostituzione dei numerosi interventi di riforma che si erano succeduti negli anni, a partire dal Decreto Burlando (422/97).

Prima del 1997 vi è da dire che il settore del TPL in Italia veniva finanziato con trasferimenti statali tramite il “Fondo Nazionale dei Trasporti”, sia con contributi di esercizio che con contributi agli investimenti. Con l’avvento della Legge Delega sul federalismo fiscale (42/2009), si è previsto per il TPL un criterio “misto” di finanziamento che tiene conto, oltre che dei costi standard, anche della fornitura di un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale. Questo avveniva sulla carta.

È utile ricordare come gli stanziamenti del Fondo TPL, a Bilancio dello Stato sul capitolo 1315 della spesa di previsione del MIMS, nel triennio 2022 – 2024 ammontino a circa 4.989,5 mln € per il 2022, a 5.093,5 milioni per il 2023 e a 5.180,5 milioni per il 2024, cifre importanti che muovono un volume di affari superiore a 10 miliardi di Euro, mille e duecento aziende coinvolte e circa 120 mila lavoratori impiegati. La legge di Bilancio 2022 è poi nuovamente intervenuta sullo stanziamento del suddetto Fondo. Ma questa è un’altra storia.

Quello che è importante sapere che la ripartizione del Fondo del TPL è tuttora fissata, in attesa che la riforma venga definitivamente approvata ed applicata, sulla base dei criteri definiti da un vecchio DPCM (11 marzo 2013), modificato più volte, in ultimo il 26 maggio 2017. Lo stesso definisce la ripartizione del Fondo su criteri di spesa storica sui quali poi si sono stratificati molteplici interventi normativi di modifica delle modalità di finanziamento e di attribuzione delle risorse. In sintesi il DPCM 2017 prevede che il 90% del Fondo sia assegnato alle Regioni sulla base delle percentuali fissate nella *Tabella[1] allegata al decreto stesso e per il residuo 10%, sempre in base alle medesime percentuali, alla verifica del raggiungimento di specifici obiettivi di efficientamento (altro tema annoso, affrontato sempre e soltanto sulla carta).

Il legislatore, a decorrere dal 2018, ha previsto (come anticipato in premessa) una riforma del TPL (DL 50/2017), che modifica sia il criterio di finanziamento del Fondo in attesa del riordino del sistema della fiscalità regionale, sia i criteri per il suo riparto. Tuttavia, la riforma si sarebbe dovuta applicare a decorrere dal 2020 ma la sua applicazione, a causa dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, è stata rinviata al punto che sia per il 2020 che per il 2021, sono stati confermati i precedenti criteri di ripartizione del Fondo stesso.

In teoria, la riforma prevede nuovi criteri per la ripartizione del Fondo TPL, per far sì che i servizi di trasporto pubblico locale e regionale vengano sempre più affidati con procedure ad evidenza pubblica, prevedendo in particolare “penalizzazioni nella ripartizione del fondo, applicabili per le regioni e gli enti locali che non procedano all’espletamento delle gare, nonché parametri volti a incentivare il perseguimento degli obiettivi di efficienza e di centralità dell’utenza nell’erogazione del servizio”.

I nuovi criteri di riparto del Fondo prevedono una quota pari al:

  • dieci per cento dell’importo del Fondo assegnato alle regioni sulla base dei proventi complessivi da traffico e dell’incremento dei medesimi registrato tra il 2014, preso come anno base, e l’anno di riferimento;
  • dieci per cento dell’importo del Fondo assegnato per il primo anno alle regioni in base al criterio dei costi standard;
  • 80% del Fondo, ad eccezione di una percentuale dello 0,025 per cento destinata alla copertura dei costi di funzionamento dell’Osservatorio nazionale del TPL, ripartita sulla base storica (DPCM 26 maggio 2017).

Il Decreto citava ancora che “a partire dal 2021 la ripartizione avverrà sulla base dei livelli adeguati di servizio” definiti dal MIMS di concerto con il MEF, previa intesa in Conferenza Unificata (delle Regioni), nonché previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, “in coerenza con il raggiungimento di obiettivi di soddisfazione della domanda di mobilità, nonché assicurando l’eliminazione di duplicazioni di servizi sulle stesse direttrici”. Aspetti che in qualche modo tendono a quanto proposto in relazione al “Livello Essenziale di Trasporto”, i cosiddetti LEA applicati nel settore del TPL (argomento già discusso su queste pagine).

Un ulteriore elemento “innovativo” della riforma prevedeva una “penalizzazione, pari al quindici per cento del valore dei corrispettivi dei contratti di servizio nei casi in cui, entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento, i servizi di trasporto pubblico locale e regionale non siano affidati con procedure di evidenza pubblica ovvero non risulti pubblicato, alla medesima data, il bando di gara”. Penalizzazioni che si sono ridotte attraverso l’applicazione di successivi interventi normativi.

Si potrebbe pensare che si è in dirittura di arrivo, che la riforma del TPL stia prendendo piede e forma, che il settore stia finalmente vedendo la luce. Invece no, per niente. A smontare tutto l’apparato normativo, che ripetiamo è ancorato alla preistoria del settore (leggasi “storico”), interviene la proposta di modifica (n. 24.20), approvata in Senato, in relazione al Disegno di Legge n. 2505.

Il DDL 2505 introduce un comma (il 5bis) in cui si evidenzia che “Al fine di sostenere gli operatori del settore del trasporto pubblico locale e regionale e di mitigare gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento adottate per l’emergenza epidemiologica da COVID-19 nonché al fine di sostenere gli investimenti, le autorità competenti possono applicare l’articolo 4, paragrafo 4, del Regolamento (CE) n. 1370 del 23 ottobre 2007 altresì nel caso in cui il gestore dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale si vincoli ad effettuare, in autofinanziamento anche parziale e sulla base di un Piano Economico Finanziario rispettoso delle disposizioni e delle misure regolatorie vigenti, significativi investimenti, anche in esecuzione e/o ad integrazione degli interventi afferenti il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e/o di altri strumenti finanziari, orientati alla sostenibilità ambientale ed al miglioramento dei servizi di trasporto dei passeggeri, aventi un periodo di ammortamento superiore rispetto alla scadenza dell’affidamento”.

In tale ipotesi, il DDL 2505 ritiene necessaria la proroga di cui al suddetto articolo 4, paragrafo 4, che non può in ogni caso superare il termine del 31.12.2026. Tutto cambia perché nulla cambi. Gattopardo docet.

 

*Tabella[1] Abruzzo: 2,69%; Basilicata: 1,55%; Calabria: 4,28%; Campania: 11,07%; Emilia-Romagna: 7,38%; Lazio: 11,67%; Liguria: 4,08%; Lombardia: 17,36%; Marche: 2,17%; Molise: 0,71%; Piemonte: 9,83%; Puglia: 8,09%; Toscana: 8,83%;

Umbria: 2,03%; Veneto: 8,27%.

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